di Redazione
Il daino della discordia. Animalisti contro gli abbattimenti
Se fino a ieri, nell'immaginario collettivo, il problema dell'aumento spropositato di ungulati nei nostri territori era ben rappresentato dal cinghiale, oggi questo ruolo pare essere destinato ad essere prepotentemente conquistato dal daino. Solo nelle scorse settimane, infatti, la nostra testata si è trovata ad affrontare il tema due volte. La prima raccontando delle forti proteste contro il piano di gestione delle popolazioni del Parco del Delta del Po, la seconda riportando la notizia delle sempre maggiori problematiche legate a una popolazione a cavallo delle provincie di Brescia e Cremona.
Se gli abbattimenti, inutile negarlo, appaiono essere l'unica strada percorribile per arginare il problema, gli animalisti non sembrano intenzionati a gettare la spugna prendendone atto. Lo scorso sabato infatti, il copione andato in scena in Emilia Romagna contro gli abbattimenti dei daini del Lido di classe è stato riproposto in Lombardia, dove gli animalisti si sono mobilitati per una "Marcia per la vita degli animali". Pare non andare meglio nemmeno in Sicilia, dove nel Parco delle Madonie infuria in questi giorni la polemica per l'abbattimento di circa trecento daini e il Partito animalista italiano propone come soluzione alternativa l'introduzione del lupo sull'isola. Merita una menzione anche la popolazione del Parco del Circeo sulla quale, animalisti permettendo, dal 2023 dovrebbero partire gli abbattimenti per un totale di circa 250/300 daini l'anno per cinque anni.
Di fronte alla solita logica delle fazioni opposte, che ben si prestano a essere raccontate dagli organi di informazione, spesso responsabili di alimentare una visione "disneyana" del mondo, capita però talvolta di notare qualche esempio controcorrente. È il caso di un articolo apparso sul Resto del Carlino, nel quale si da spazio a una proposta tutt'altro che banale. Abbattere i daini, paralloctoni e dannosi, e sostituirli con il cervo italico sopravvissuto come popolazione relitta solo nel Bosco della Mesola, autoctono e meno problematico. Una proposta apparentemente stonata, che suona però come musica per le orecchie di chiunque abbia un minimo di formazione nel campo della gestione faunistica.
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