In questo splendido esemplare adulto di volpe si notano le tonalità cromatiche della pelliccia invernale, un tempo fonte di desiderio di tante signore
In questo splendido esemplare adulto di volpe si notano le tonalità cromatiche della pelliccia invernale, un tempo fonte di desiderio di tante signore - © Bernard Stam
Pubblicato il in Conservazione
di Matteo Brogi

Volpe rossa: tra mito e mancata gestione

Anche la volpe necessita di interventi gestionali. Dove non accade, si assiste a una pressione eccessiva sulle specie predate che può portare al loro azzeramento. I danni all’ambiente e alla fauna sono crescenti. Senza dimenticare il rischio di epidemie, specie nei contesti condivisi con l’uomo e il cane

di Roberto Basso e Lorenzo Dal Pont

Dal 1995 a oggi nelle provincie di Trieste, Venezia, Rovigo, Ferrara e Ravenna c’è stata una esplosione demografica della volpe rossa (Vulpes vulpes) che ha contestualmente interessato anche tutta la penisola italiana, inclusi gli ambienti lagunari e vallivi. Il risultato è stato l’azzeramento di pressoché tutta la popolazione di fagiani riproduttori e una pressione importante sugli uccelli acquatici nidificanti nei canneti con acqua poco profonda. Anche le colonie di laridi e limicoli presenti su barene, dossi o arginature ne hanno risentito. Purtroppo, in quasi tutte queste provincie e regioni (fatta eccezione per il Friuli-Venezia Giulia e qualche altra regione del Centro Italia) non si è ancora potuto applicare un piano di controllo o gestione in grado di ricreare un equilibrio tra predatori e specie stanziali nidificanti. Se a ciò si aggiunge la pressione apportata dalle specie alloctone invasive, diventa comprensibile la crescente preoccupazione da parte di chi ha a cuore la conservazione delle biodiversità e delle specie autoctone, venatiche o no.

Da questa cartina si evince la situazione della distribuzione della volpe rossa in Italia nel 1981; si noti l’assenza in un’ampia area del Nord-Est e della Pianura Padana
Da questa cartina si evince la situazione della distribuzione della volpe rossa in Italia nel 1981; si noti l’assenza in un’ampia area del Nord-Est e della Pianura Padana - © Roberto Basso

Una formidabile capacità di adattamento

Per quanto riguarda la volpe, persino nella Bibbia e negli antichi scritti di Plinio è descritta come un animale predatore e dannoso e si narrano i metodi più conformi a controllarne le scorrerie. La sua esplosione demografica è dovuta sicuramente alle innate capacità di adattamento a tutti gli ambienti, inclusi quelli urbani, dal livello del mare sino ai 2.500 metri di altitudine. A ciò va aggiunta la sua indole alimentare che la vede onnivora, ma anche grande opportunista e necrofaga. Dagli studi più aggiornati, rivolti proprio alle sue abitudini alimentari e all’esame dei contenuti stomacali, si notano importanti variazioni nelle diete nutrizionali a seconda delle stagioni e dei mesi dell’anno. Si può cibare di piccoli invertebrati come lombrichi, cavallette, coleotteri, ma anche di micro-mammiferi, ratti, rettili e anfibi; mentre in primavera ed estate, stagioni che coincidono con il periodo riproduttivo, la ricerca di cibo si concentra maggiormente su fonti più ricche di proteine come uova, pulcini e tutto ciò che riguarda la fauna selvatica in età giovanile. Non disdice anche fonti alimentari di origine vegetale, in particolare frutti maturi e bacche.

Distribuzione della volpe negli anni 2010
Distribuzione della volpe negli anni 2010 - © Biatch

Le abitudini prevalentemente notturne e crepuscolari fanno sì che la volpe sfrutti la sua grande sensibilità olfattiva, l’acuta vista e pazienza nella caccia d’aspetto e d’agguato. Queste sue caratteristiche causano dei veri e propri squilibri a danno delle specie più comunemente predate. Proprio per queste sue doti e caratteristiche, la volpe rossa è stata oggetto di grande attenzione già all’epoca dei romani, sino ad arrivare ai giorni d’oggi, dove è sempre più sovente raffigurata e citata anche con coloriti nomignoli. Basti pensare al noto scrittore fiorentino Luigi Ugolini, che nel suo famoso romanzo Muso duro divenuto anche, per intuizione della Cecchi Gori, un film di successo, più volte le associa l’appellativo “ruba-galline”. E che dire poi delle frequenti ricorrenze in cui nel nostro lessico siamo soliti dire “furbo, ladro o scaltro come un volpe”, e poi ancora “spietato e affamato come una volpe”.

L’evoluzione delle normative

Non possiamo trascurare che sino all’inizio degli anni ’80 le normative italiane prevedevano un controllo e gestione che, attraverso il prelievo, consentiva un contenimento dei danni. La volpe, in passato, veniva cacciata o controllata non solo per i danni che creava ma anche per l’interesse economico rivolto alla sua pelliccia, in particolare nei mesi invernali, e per il consumo delle sue carni, che in alcune regioni del Sud Italia erano apprezzate. Poi c’erano i famosi volpari che, più o meno meritatamente, girando per i paesi e mostrando alcune pelli di volpe, ottenevano una certa attenzione dai contadini e proprietari terrieri. Era un espediente per sopravvivere in quanto quasi mai veniva loro offerto del denaro; solitamente venivano ricompensati con uova, prodotti dell’orto, latticini o una bottiglia di vino. I latifondisti richiedevano espressamente ai guardiacaccia, dopo le razzie nei pollai, di impegnarsi nel controllo della specie. E qui entravano in azione tagliole, lacci e anche, purtroppo, i bocconi avvelenati con, l’allora diffuso, uso delle fiale di stricnina.

Nonostante l’elasticità che vigeva in passato sul controllo di popolazioni della volpe, questa specie non ha mai corso rischi di estinguersi o di rarefarsi, ma ha sempre mantenuto quel giusto equilibrio tra superficie del territorio, densità numerica della specie e impatto ambientale. Ma cos’è che ha creato un così esponenziale incremento numerico in Italia? In questi frangenti le cause sono sempre molteplici, legate non solo ai calendari venatori e alle normative vigenti che ne limitano il prelievo, ma anche al proliferare delle aree protette, che ben presto sono divenute delle vere e proprie nursery, che vedono conseguentemente l’allontanamento dai loro confini degli esemplari in eccedenza, scacciati dai soggetti dominanti. Ed è così che la popolazione è andata sempre più aumentando e disperdendosi ovunque trovasse fonte di sostentamento.

Giovani esemplari. In passato era un compito primario il controllo delle volpi da parte degli agenti provinciali e di quelli privati delle riserve
Giovani esemplari. In passato era un compito primario il controllo delle volpi da parte degli agenti provinciali e di quelli privati delle riserve - © Ken Billington

In passato, la volpe rossa era diffidente e timorosa dell’uomo, anche solo della sua presenza e traccia odorosa, mentre oggi è sempre più numerosa come stanziale all’interno di grandi agglomerati urbani. Forse molti non sanno che in Inghilterra il fenomeno delle volpi urbane ha assunto una rilevanza considerevole, come anche in Danimarca e Svezia. La sua capacità di adattamento ha fatto sì che diminuisse la sua diffidenza nei confronti dell’uomo, riproducendosi scavando tane tra le fondamenta di vecchie abitazioni, accumuli di macerie e materiali di risulta.

La volpe urbanizzata

Nella città la volpe ha imparato ad approfittare delle crocchette che rimangono nelle scodelle dei gatti e dei cani nei giardini di abitazioni private, a nutrirsi dei rifiuti lasciati dentro e fuori dai cassonetti, ma l’aspetto per lei più incoraggiante che ne ha permesso l’urbanizzazione sono stati i sentimentalismi di coloro che le lasciano o offrono cibo, aspetto questo sicuramente deplorevole e che andrebbe sanzionato. Nella sola città di Londra, nella quale sono presenti almeno 300-400 esemplari, la situazione non può che preoccupare le autorità preposte alla sanità pubblica in quanto, essendo così sovrapponibile la presenza della volpe con quella dell’uomo e dei cani domestici, nel caso dell’insorgenza di un’epidemia di rabbia silvestre sarebbe difficilmente gestibile il propagarsi delle infezioni che sappiamo poter essere mortali per l’uomo. Anche in Italia alcuni decenni fa vi sono stati dei focolai di rabbia silvestre provenienti dall’allora confinante Jugoslavia, tempestivamente arginati e debellati. Ma, all’epoca, la densità delle volpi era minore e l’animale era meno confidente con l’uomo. Oggi sappiamo che anche nella periferia e all’interno di Roma Capitale ne vive una popolazione stabile.

Va ricordato che in Italia l’attenzione alle problematiche causate dall’eccessiva presenza della volpe rossa tendono, da regione a regione, a essere interpretate e prese in considerazione a seconda degli umori, tendenze e aderenze col mondo animalista da parte dei dirigenti o assessori competenti. Una Regione che in passato ha saputo porre nella giusta dimensione la gestione della volpe è l’Emilia-Romagna, tant’è che nel quinquennio 2019-2023 l’amministrazione ha varato un piano di controllo basato su un’attenta analisi della popolazione da cui è scaturito un piano di controllo diverso da provincia a provincia. L’assessore regionale specificava che si trattava di un intervento di natura straordinaria nato dall’esigenza di contenere un predatore che è in grado di compromettere gravemente la riproduzione di specie selvatiche di piccole o medie dimensioni, in particolare uccelli appartenenti a specie protette. Un altro aspetto che la Regione Emilia-Romagna aveva considerato è stato quello che riguardava le tane scavate in argini e terrapieni, che minano la stabilità del suolo e possono causare eventi di natura alluvionale (vedi fontanazzi). Non trascurabile è il danno apportato al mondo rurale per quello che riguarda gli animali di bassa corte, come pure alle specie selvatiche di interesse venatorio.

Di danni ed epidemie

La Regione Emilia-Romagna ha saputo anche stimare i danni complessivi causati e da qui la decisione, in base a stime e censimenti, di effettuare un concreto controllo della specie. Sono state date diverse possibilità di utilizzo di metodi di prelievo: quello dell’aspetto risulta il più utilizzato nelle provincie di Bologna e Reggio Emilia; mentre l’utilizzo di cani da tana o l’abbattimento da parte di gruppi di cacciatori specializzati e patentati viene maggiormente praticato in provincia di Forlì Cesena, Modena e Reggio Emilia. Sempre a Bologna molto attivo è anche l’uso di gabbie a trappola, mentre lo sparo d’autoveicolo con fonte luminosa è stato attuato solo nella Provincia di Modena dagli agenti provinciali. La cosa interessante che ne è emersa è che tra prelievi ordinari, durante il periodo di caccia consentita, e straordinari di gestione della popolazione, si è ottenuto un numero di prelievo complessivo ragguardevole e, parallelamente, si è rilevata un’attenuazione di danni all’ambiente e alla fauna. Ma l’aspetto più importante è stato quello di scongiurare un possibile diffondersi di epidemie come quella della rogna, che ha interessato soprattutto l’ampio territorio del Mezzano Ferrarese e parte della provincia di Ravenna.

In Italia l’attenzione alle problematiche causate dall’eccessiva presenza della volpe rossa tende, da regione a regione, a essere interpretata e presa in consideraziona a seconda degli umori, tendenze e aderenze col mondo animalista da parte di dirigenti e assessori competenti
In Italia l’attenzione alle problematiche causate dall’eccessiva presenza della volpe rossa tende, da regione a regione, a essere interpretata e presa in consideraziona a seconda degli umori, tendenze e aderenze col mondo animalista da parte di dirigenti e assessori competenti - © Friedrich Böhringer

Sappiamo che, quando una specie esplode demograficamente, aumenta per la stessa il rischio di epidemie; questo, per esempio, succede regolarmente con il coniglio selvatico e negli allevamenti intensivi di polli o di anatidi. La preoccupazione prioritaria è sempre quella di scongiurare la rabbia silvestre, infezione che può avere conseguenze molto gravi per l’uomo. Quindi va ricordato che in Italia ci sono Regioni più attente e solerti nel lasciare pareri e autorizzazioni, altre addirittura assolutamente sorde o cieche verso ciò che devono essere la sensibilità e il dovere pubblico. Andrebbero effettuati preliminari censimenti e, ove necessario, azioni di contenimento sulle specie che lo richiedano. L’Italia non ha nulla da inventarsi, deve solo guardare oltralpe per comprendere come altri Stati europei tutelino e gestiscano il loro patrimonio faunistico e la loro biodiversità.

Articolo concesso da Diana & Wilde / Edizioni Lucibello, ottobre 2024

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