di Matteo Brogi
Piombo: associazionismo venatorio combatte battaglia di retroguardia
Purtroppo, ancora una volta, l’associazionismo venatorio italiano dimostra di non capire l’esigenza del cambiamento per sostenere concretamente la pratica della caccia. Rimarcando, ancora una volta, le distanze con quello del centro e del nord Europa
Federcaccia Lombardia ha pubblicato un documento dal titolo Il piombo a caccia: gli impatti negativi su salute, ambiente e fauna sono certi? Sottotitolo: Studi e osservazioni per l’VIII Commissione del Consiglio Regionale della Lombardia: audizione sugli impatti del piombo delle munizioni nell’ambiente naturale lombardo. Il documento – di cui abbiamo dato notizia ieri – costituisce un “quaderno di lavoro in cui si raccolgono gli studi e le considerazioni presentate dall’avvocato Lorenzo Bertacchi in occasione dell’audizione nell’VIII Commissione Consiliare del Consiglio Regionale della Lombardia in data 2 ottobre 2024”. Con la postilla che, da questo documento, “emerge una situazione reale ben diversa da quella comunemente descritta e posta a fondamento delle limitazioni sull’uso del piombo nelle munizioni da caccia”.
L’avvocato Bertacchi, past president della federazione regionale, ha partecipato all’audizione in qualità di consigliere giuridico di Federcaccia e l’attuale presidente di FIDC Lombardia, Marco Bruni, ha ritenuto di raccogliere il materiale prodotto perché, a suo dire, «Una cosa appare certa: gli studi e i dati oggi utilizzati per demonizzare il piombo sovente dicono altro o non sono correttamente circostanziati e sovente appaiono “forzati”, strumentalmente orientati al punto da sembrare non volti alla ricerca di cause e soluzioni di problemi, bensì a rendere la vita più difficile ai seguaci di Diana».
Negazionismo
Il documento conta 30 pagine e, di queste, le più interessanti sono quelle dedicate alle conclusioni dell’avvocato (si noti: un avvocato, non un ricercatore, magari un biologo o un medico) secondo il quale «Ad oggi dall’uso del piombo a caccia in Lombardia non emergono effetti diretti sull’ambiente e sulla salute pubblica tali da giustificare l’uso di munizionamenti alternativi». A suo dire, gli effetti del piombo sull’avifauna sarebbero “trascurabili” e “da dimostrarsi”, non sarebbe inoltre “possibile produrre cartucce con pallini in acciaio idonee per cacciare la piccola selvaggina” (sic) mentre sugli ungulati i proiettili alternativi al piombo sarebbero “meno efficaci”. Davanti alla Commissione, ha aggiunto che «La svolta green delle cartucce non comporterà un minor inquinamento dei suoli e un minor rischio per la salute» e «non inciderà significativamente sulla dinamica delle popolazioni di avifauna» se non in limitati casi. Per poi concludere – riprendendo l'approccio vittimistico che da tempo circola all’interno del nostro mondo – che «La svolta green delle cartucce non c’entra nulla con rischi per la salute pubblica».
Un documento anacronistico e inopportuno
Ebbene, io non critico l’avvocato Bertacchi e le sue convinzioni (liberissimo di coltivarle) ma contesto l’opportunità di un documento – edito dalla più popolare associazione venatoria nazionale – che reputo anacronistico.
Che il piombo faccia male lo sappiamo tutti e il principio di precauzione – anche volendo contestare i tanti studi scientifici che arrivano a conclusioni differenti da quelle menzionate in audizione – ci dovrebbe consigliare prudenza. L’esperienza del nord Europa insegna che del piombo se ne può fare a meno sia nella caccia alle specie migratorie sia agli ungulati. Esiste tantissima letteratura in proposito e chiunque abbia fatto esperienza di materiali alternativi con la mente libera dal pregiudizio sa che differenze sostanziali non ce ne sono (ungulati) o, se ce ne sono (selvaggina migratoria), si possono adottare accorgimenti per evitare il ferimento del selvatico (banalmente, riducendo le distanze di tiro).
Guardiamo al futuro
Se abbiamo a cuore il futuro della caccia dovremmo sapere che è fondamentale liberarci da tutti quei condizionamenti che rendono la nostra attività ancora più invisa alla pubblica opinione. Il tema piombo crea allarme sociale: perché continuare a combattere una battaglia di retroguardia e macchiarsi agli occhi dei più di disinteresse per la conservazione dell’ambiente e della fauna selvatica? E ancora: ci è chiaro che dobbiamo lavorare sulla nostra pessima immagine pubblica (spesso meritata) per poter essere considerati interlocutori plausibili quando si parla di tutela della biodiversità? Crediamo davvero che sia sufficiente prestarsi a qualche opera di volontariato per riabilitarsi agli occhi del mondo?
La battaglia per il piombo, ammesso e non concesso che dovesse essere combattuta, è ormai perduta. Rifiutarsi di accettarlo significa non lavorare al bene della caccia, al suo “marketing”, alla promozione di quelle pratiche virtuose che possono riportare interesse e rispetto verso l’attività venatoria e il cacciatore. Dispiace, e molto, che la principale associazione venatoria – che avrebbe io credo il dovere di guidare il cambiamento – investa le sue energie in rivendicazioni anacronistiche e non punti invece a svolgere un ruolo di persuasione morale nei confronti del cacciatore che, invece, viene illuso con battaglie di dubbia utilità e destinate a sconfitta certa.
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