di Matteo Brogi
Peste suina africana, quello che serve sapere
In Italia il tema della peste suina africana è di drammatica attualità dal 6 gennaio quando, nel comune di Ovada (Al), è stata individuata la prima carcassa di un cinghiale positivo. Da allora ne sono state rinvenute un centinaio (la ricerca organizzata nell'area infetta nel frattempo è stata abbandonata)
Dalla comparsa delle psa nella nostra Nazione, alcune cose sono state fatte. Molte di più sono state trascurate nonostante un quadro normativo già all'epoca piuttosto definito. Segnalazione e rimozione delle carcasse, isolamento della popolazione infetta, riduzione della densità: questi sono i passi che devono essere compiuti.
La normativa
Per quanto riguarda la parte sanitaria, il tema della psa è regolamentato dal decreto legislativo 54 del 20 febbraio 2004, "Attuazione della direttiva 2002/60/CE recante disposizioni specifiche per la lotta contro la peste suina africana" [Aggiornamento: il provvedimento è stato abrogato dal decreto legislativo 136 del 5 agosto 2022 in vigore dal 27 settembre 2022].
. Si tratta della legge che indica come gestire la peste e istituisce quel nucleo di esperti che dovrebbe guidare le scelte dell'unità di crisi nazionale. Tra questi dovrebbe essere rappresentato anche il mondo venatorio cosa che, finora, non si è concretizzata. Si tratta di semplice dimenticanza o inefficienza del Ministero della Sanità oppure è possibile ipotizzare una condotta che intende volutamente emarginare il nostro mondo dalla gestione del problema? Certamente è una mancanza grave e determinante perché, nel confronto tra esperti, viene a mancare la voce che potrebbe riportare l'esperienza maturata nei paesi che hanno affrontato la questione prima di noi. Avrò modo di riparlarne più avanti.
Lo scorso 16 aprile è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale la legge 29/2022 (conversione del decreto legge 9 del 17 febbraio) sulle misure urgenti per arrestare la diffusione della peste suina africana; istituisce i Priu (piani regionali di interventi urgenti per la gestione, controllo ed eradicazione della psa) e impone che tutte le Regioni debbano presentare a Ispra piani specifici aderenti sia alla normativa sanitaria sia al documento interministeriale di indirizzo tecnico Gestione del cinghiale e peste suina africana - Elementi essenziali per la redazione di un piano di gestione, redatto dai Ministeri della salute, delle Politiche agrarie, alimentari forestali e da quello della Transizione ecologica in collaborazione con l'Ispra e il Centro di referenza nazionale per le pesti suine (Cerep).
Infine, va menzionata l'ordinanza 1 del 25 marzo 2022 del Commissario straordinario alla peste suina africana, nominato il 25 febbraio sulla scorta dell'allora decreto legge 9, che indica le regole di comportamento nella zona infetta (zona di restrizione II) e nell'area buffer (zona di restrizione I) che circonda la precedente.
Solo carcasse, per ora
Nonostante questa solida costruzione normativa, a oggi molto poco è stato fatto oltre alla ricerca delle carcasse dei cinghiali nella zona infetta e nel buffer che, è opportuno sottolinearlo, è stata effettuata dal mondo venatorio a titolo volontaristico. Il documento di indirizzo tecnico, infatti, prevede che "in considerazione del ruolo cruciale che il mondo venatorio può attivamente svolgere nel contrasto della psa, parallelamente alla diffusione di una corretta informazione, nella fase preventiva all'arrivo del virus, andrà stimolato il coinvolgimento attivo dei cacciatori nella sorveglianza passiva delle carcasse di cinghiale e alla corretta raccolta dei dati relativi ai cinghiali abbattuti". L'impegno è responsabilmente continuato - ed è stato rafforzato - dopo la scoperta della prima carcassa. Dati alla mano, parliamo di più di 3.000 cacciatori attivamente coinvolti nelle operazioni di ricerca.
Per quanto riguarda gli interventi di contenimento, quindi la costruzione o il rafforzamento delle barriere che dovrebbero bloccare la diffusione della malattia, siamo invece ancora in attesa dell'appalto dei lavori. Ma, nel frattempo, la malattia si diffonde e contamina nuove aree a una velocità di 250/300 metri alla settimana. Il dato è ancora primitivo ma mi è stato confidato da fonte autorevole e attendibile. Insomma, tra un Ministero che si sente tutelato dalla presenza del Commissario e un Commissario che purtroppo non ha un adeguato portafoglio, di azioni vigorose per il contenimento della malattia non se ne sono ancora viste. In più, poco è stato fatto anche dalle Regioni; la Liguria, in particolare, è criticata per non essersi adeguatamente attivata con il rischio, evidenziato dagli studiosi, che in questo modo la malattia diventi endemica.
Cosa significa? Semplicemente, si fa per dire, che anche quando l'onda epidemica sarà passata e avremo una bassa densità di cinghiali non saremo in grado di eliminare la possibilità di trasmissione tra animali. Trattandosi di una malattia che non ha un'alta morbilità (tecnicamente: rapporto tra il numero di casi di una determinata malattia e il numero di soggetti esposti al rischio di contrarla in un periodo di tempo definito; banalmente: non tutti gli animali si infettano con il contatto), ma ha un'altissima resistenza ambientale. Corriamo il rischio di non debellarla così come è successo nei Paesi baltici, in Polonia e in altre nazioni europee. Ma le possibilità di eradicarla ci sono e lo dimostrano il Belgio e la Repubblica Ceca. Certo, in questi Stati praticamente tutta l'area infetta era stata delimitata con una recinzione in due mesi.
La peste suina africana, oltre ad avere ripercussioni sulla popolazione della specie cinghiale in termini di consistenze, ha importanti conseguenze economiche sul settore suinicolo. Di fatto, i paesi terzi che non accettano il principio della regionalizzazione (ovvero la suddivisione del territorio in area infetta, a rischio e libera da malattia) ma considerano semplicemente il territorio di una nazione come infetto o meno, hanno già bloccato le importazioni di carni suine italiane. Cina, Giappone e Svizzera, tanto per fare alcuni esempi, sono tra questi. Tutto ciò ha un effetto depressivo anche sulle quotazioni delle carni.
Quali conseguenze per il mondo venatorio
La caccia, nelle zone infette e quelle limitrofe, ha già subito delle considerevoli limitazioni che includevano in prima istanza la sospensione della stagione venatoria (anche dei cervidi) e prevedono un fermo alla caccia collettiva. Rimanendo al cinghiale, se in zona infetta non sarà possibile immaginare un prelievo ordinario (decreto 9 del 17 febbraio 2022, articolo 1, comma 5 bis "è vietato il prelievo in ogni forma collettiva di attività venatoria"), nei territori della zona buffer la caccia di selezione e il controllo saranno consentiti ma solo a determinate condizioni. In specifici Atc si prevede un sistema premiale che manterrà la possibilità di cacciare in base all'efficacia delle operazioni attuate.
Sicuramente la psa porterà delle variazioni all'esercizio venatorio, già anticipate dal documento tecnico interministeriale: "A seguito della modifiche alla legge 157/92, introdotte con l'art. 11-quaterdecies, comma 5 della legge 248/2005, si evidenzia che nel caso in cui la presenza in sovrannumero di una specie (come il cinghiale) è causa di comprovati impatti all'agricoltura e di un incremento del rischio per la salute pubblica (crescita degli incidenti stradali o altro), Ispra ritiene tecnicamente accettabile prevedere l'adozione di piani di abbattimento in caccia di selezione di dimensione e struttura tali da determinare la riduzione delle presenze e attuabili durante l'intero arco dell'anno, anche nelle ore notturne, previo utilizzo di mezzi per la visione notturna che facilitano e garantiscono la selezione degli individui, e su terreni in tutto o in parte ricoperti di neve".
Attenzione: si parla di attività di caccia in selezione, non di controllo. Anzi, sottolinea il solito documento, "viene privilegiata la caccia in quanto l'attività di controllo faunistico per il perseguimento di un obiettivo di riduzione generalizzata delle presenze sarebbe fortemente limitato dall'attuale dettato normativo che non permette il coinvolgimento del mondo venatorio, pur in un quadro di rigorosa verifica di tali attività, e richiede la preventiva (o almeno contestuale) attivazione di metodi ecologici di prevenzione". Per di più, "nei contesti in cui risultassero disponibili stime di popolazione caratterizzate da sufficiente affidabilità, si raccomanda l'adozione di piani di prelievo non inferiori all'80% della popolazione stimata". Insomma, i temi sul tavolo sono tanti e tali da stravolgere l'attività venatoria per come l'abbiamo pensata finora.
Due scenari estremi
Semplificando ed estremizzando, ci si può legittimamente attendere due possibili scenari: se i piani posti in essere funzionano in maniera ideale, tra qualche anno avremo una popolazione di cinghiali ridotta nell'area in cui l'epidemia ha colpito, differenti modalità di gestione della specie e un po' più di consapevolezza di quello che può fare il mondo venatorio in termini di sorveglianza del territorio, ricerca e gestione.
Il caso meno favorevole richiede una premessa: come sappiamo il cinghiale è un ungulato che crea problemi sotto tanti aspetti e piace, diciamocelo, solo ai cacciatori. È innegabile che se la peste suina africana colpisse duro - come ad esempio in Lituania dove la popolazione si è ridotta di circa quattro quinti - le amministrazioni si toglierebbero di torno numerosi problemi e l'ipotesi di un'ulteriore stretta sulla legislazione venatoria non sarebbe solo di scuola; verrebbe infatti annullata quella funzione di pubblica utilità che, come cacciatori, rivestiamo. In questo senso si può addirittura ipotizzare una linea di continuità in negativo con il progetto di sterilizzazione della specie, finanziato con cinque milioni dalla legge di bilancio. E non è neppure un buon segno l'inerzia dimostrata fino a questo momento a livello ministeriale. Non dimentichiamo che anche l'allevamento dei suini è considerato dall'opinione pubblica come un problema per i temi del benessere animale, dell'inquinamento e dell'utilizzo di farmaci.
È molto più probabile che nei prossimi anni si concretizzerà una visione intermedia tra questi estremi. Quello che è certo, però, è che di psa si continuerà a parlare per molto tempo; la fase emergenziale si concluderà infatti solo un anno dopo l'individuazione dell'ultimo caso e in Italia siamo appena all'inizio dell'emergenza che non stiamo affrontato, come ho evidenziato, con la necessaria determinazione. La peste suina africana influenzerà quindi a lungo l'attività venatoria e il comportamento di noi cacciatori. Speriamo in una maniera non troppo negativa. Non ci resta che osservare gli sviluppi continuando a fare pro-attivamente la nostra parte.
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