di Matteo Brogi
Monitoraggio del lupo: quello che non convince
La raccolta e la successiva elaborazione dei dati del monitoraggio coordinato da Ispra è una buona base di partenza per conoscere lo status della popolazione del lupo in Italia. Ma lasciano spazio a più di qualche critica
Lo scorso 23 giugno si è tenuto l'evento conclusivo relativo al Monitoraggio nazionale del lupo: la presentazione online dei risultati frutto di quell'opera ciclopica consegnata lo scorso 12 maggio al Ministero della transizione ecologica.
Dei dati emersi dal monitoraggio ho scritto su Hunting Log evidenziando alcune criticità che speravo sarebbero state fugate nel corso del successivo previsto evento pubblico. Quello, appunto, che Ispra ha organizzato ieri.
Dopo i saluti istituzionali espressi da Maria Siclari – direttore generale di Ispra – il coordinamento degli interventi è stato affidato a Piero Papik Genovesi, responsabile del Servizio per il coordinamento della fauna selvatica della medesima istituzione. Sono intervenuti Francesca Marrucco di UniTo in merito all'attività di monitoraggio nell'area alpina, Paola Aragno (Ispra) e Valeria Salvatori (Federparchi) per l'area peninsulare, mentre i risultati sono stati presentati da Valentina La Morgia (Ispra), Vincenzo Gervasi (Ispra) e Daniele De Angelis (Federparchi). Un parterre competente e informato che non si è sottratto al confronto.
Dei dati ho appunto già scritto e, in quell'occasione, evidenziai due criticità. Della prima (la gestione del lupo), non si è neppure parlato. Genovesi ha dichiarato, testualmente, che «Il lupo si è notevolmente espanso ed è meno a rischio» ma è tuttora in condizioni critiche, anche se molto meno che in passato e con una curva di crescita addirittura «esponenziale» in alcune zone: la sua presenza nelle Regioni alpine è triplicata in tre anni. La seconda criticità riguardava l'affidabilità del monitoraggio e in questo caso mi sono fatto un'opinione più precisa.
Uno sforzo complesso
Premesso che i dati relativi alla modalità di campionamento sono disponibili nella versione pubblicata del report Stima della distribuzione e consistenza del lupo a scala nazionale 2020/2021 e sono piuttosto complessi, mi è chiaro che il modello elaborato rappresenta uno sforzo scientifico non indifferente che, peraltro, esalta la trasparenza delle istituzioni che vi hanno contribuito. Probabilmente migliorabile, è comunque sostenuto da una solida base scientifica. Niente di improvvisato, nulla di adattato da altre esperienze. Un inevitabile punto a favore dell'indipendenza e della qualità del lavoro.
Le mie perplessità restano però tali sulle scelte fatte a monte, in particolare sulla selezione dei 3.000 operatori – formati in modalità online, per inciso – che hanno proceduto alle attività di monitoraggio sul campo. Si tratta di figure che hanno messo a fattor comune la conoscenza del selvatico e del territorio in cui hanno operato. Tra loro vari cacciatori – specie nelle Regioni alpine e in Toscana – che hanno aderito in maniera individuale al progetto; stonava – e continua a stonare – l'assenza delle Associazioni venatorie, che non sono state ufficialmente invitate come invece è accaduto nel caso di quelle ambientaliste, Legambiente, Lipu e Wwf su tutte. Si tratta di una mancanza che svilisce almeno in parte la portata del progetto, che poteva essere un momento d'incontro tra sensibilità differenti; la scelta sembra invece rimarcare la volontà politica di tenere fuori dal progetto il mondo venatorio. È lecito attendersi che questa mancanza venga risolta nelle successive edizioni del monitoraggio.
Già, le successive edizioni. È evidente che qualsiasi monitoraggio vada aggiornato in maniera che sia attuale e fornisca delle serie storiche in grado di consentire la continua descrizione della realtà e individuare modelli predittivi per il futuro. Su mia specifica domanda, Genovesi ha confermato che è lecito attendersi lo sviluppo di serie temporali di dati ma che, trattandosi di uno sforzo articolato e complesso, Ispra può solo sperare che gli altri attori coinvolti concordino su questa esigenza. «Tra l'altro – ha aggiunto Genovesi – sarebbe teoricamente possibile modificare il campionamento per estenderlo ad altre specie» e, aggiungo io, arrivare finalmente a una banca dati sugli ungulati aggiornata.
Perché una stima
I motivi che impediscono il conteggio preciso della popolazione del lupo sono innumerevoli e, non ultima, è la sua scarsa contattabilità. La stima – svolta secondo dei precisi modelli statistici – rappresenta pertanto la migliore approssimazione possibile e per questo viene accompagnata da una misura di errore. I 3.307 lupi indicati sul territorio italiano sono pertanto un valore elaborato tra le misure estreme restituite dal modello: 2.945-3.608. Ulteriori strumenti analitici (le simulazioni Montecarlo) consentono di dare al modello stesso una robustezza notevole che indica un 82% di probabilità che la popolazione sia compresa nella forchetta di errore. Fin qui, tutto bene.
Al lettore che si deve affidare alle interpretazioni dei tecnici che hanno elaborato il rapporto – e siamo la maggioranza – i dati restituiscono alcune incertezze. Tra queste, per esempio, la scarsa densità registrata in quelle che l'esperienza ci dice essere le zone di nuova colonizzazione, come la Lombardia e la pianura Padana in generale. Sono convinto che le esperienze messe in campo siano di qualità e i modelli elaborati abbastanza affidabili ma, sinceramente, coltivo più di un dubbio che le scelte fatte nella determinazione delle aree siano esaustive.
Il monitoraggio ha una valenza nazionale e si affranca dai precedenti studi, che erano generalmente svolti a livello locale e poco indicavano della situazione globale della nostra nazione. Continuano però a mancare i dati regionali, quelli che più di altri servirebbero alle Regioni per elaborare dei piani, anche solo di mitigazione delle conflittualità tra il predatore e le attività antropiche. Il grosso dei dati è stato campionato in 13 aree di rilevamento intensivo e Ispra sostiene che non è possibile estrapolare una stima affidabile per i singoli territori regionali.
Ma dove sono i lupi?
Insomma: diamo per assodato che i lupi siano 3.307... ma dove sono? Questa informazione continua a mancare quando, ripeto, sarebbe un dato-guida per la gestione della specie. Non sono pochi gli operatori, per esempio, che prendendo a riferimento i dati dichiarati (densità nelle 13 aree di rilevamento intensivo comprese tra 2,9 e 9,6 lupi per 100 kmq) si chiedono come sia possibile arrivare a una densità complessiva in area peninsulare di "solo" 2,2 lupi per 100 kmq (2.388 lupi su un'area vitale di 108.534 chilometri quadrati). Insomma, la statistica è una scienza complessa (non esatta, per inciso) però, magari con un indice di confidenza più ampio (la famosa forchetta statistica), si poteva arrivare a un'informazione più puntuale e utile.
In conclusione credo che si possa dire che è stato fatto un primo passo in direzione della conoscenza della condizione del lupo in Italia. Attendiamo i prossimi, con la speranza che le stime che forniranno siano utili a identificarne in maniera più precisa anche la distribuzione spaziale oltre che a individuare il suo trend di crescita. Gli operatori abilitati ci sono e sarebbe un peccato perdere le loro competenze; se a loro si affiancassero anche i cacciatori delle Associazioni, si potrebbe contare su un bacino di competenze ancor più ampio in grado di fornire manovalanza su base volontaristica e altri tasselli di conoscenza.
Chi desidera rivedere la conferenza di presentazione trova la registrazione completa sul canale Youtube Ispravideo:
Se sei interessato alla caccia sostenibile e alla conservazione dell'ambiente e della fauna selvatica, segui la pagina Facebook e l'account Instagram di Hunting Log, la rivista del cacciatore responsabile.