di Matteo Brogi
La solidarietà dei cacciatori, in pratica
Può il cacciatore avere un ruolo sociale oltre a quello di gestore dell'ambiente? Varie esperienze dimostrano che è possibile. La collaborazione Tra Regione Toscana, Atc, Centri di lavorazione delle carni e Banco alimentare è un modello da seguire perché si concretizzi la disponibilità al dono e l'attenzione al sociale che caratterizza anche i cacciatori italiani
Tra le forme in cui si può declinare la responsabilità del cacciatore nei confronti della sua comunità non mancano gli atti concreti di solidarietà. In America da tempo sono attive iniziative che prevedono la donazione del surplus di carne prelevata con l'attività venatoria, così da fornire proteine nobili a chi dovrebbe rinunciarvi per motivi economici. Il sistema garantisce che la carne donata sia prelevata, conservata e macellata nella maniera corretta, pre-requisiti essenziali perché la solidarietà sia veramente tale. Queste iniziative rispondono al nome di Hunters who care, Hunters for the hungry, Hunters and farmers feeding the hungry, Farmers and hunters, Hunters helping the hungry. Gli ultimi dati disponibili parlano di 1.300 tonnellate di carne donate mediamente ogni anno a banche del cibo, cucine parrocchiali e associazioni di assistenza: 11 milioni di pasti per un controvalore di due miliardi di dollari. A questo tema National Geographic ha dedicato un interessante articolo.
La solidarietà dei cacciatori contro la povertà
Se gli Stati Uniti hanno avuto la funzione di apripista, non mancano esempi altrove. Anche se, spesso, si tratta di iniziative estemporanee che si scontrano con difficoltà di ordine normativo e organizzativo. Alle nostre latitudini, per esempio, un buon lavoro lo fa l'Italian chapter del Safari club international. Finché il settore sarà scarsamente normato, però, queste iniziative di solidarietà si scontreranno con la burocrazia nonostante la disponibilità al dono che si registra tra molti cacciatori. Una disponibilità che è sostenuta dall'abbondanza della risorsa primaria (gli ungulati) e, purtroppo, dei potenziali beneficiari di queste iniziative; in Italia, i dati Istat parlano di 1,9 milioni di famiglie e circa 5,6 milioni di individui (9,4% della popolazione) in condizioni di povertà assoluta.
L'esperienza toscana
Regione Toscana ha trovato il modo di mettere insieme il sostegno alle persone disagiate con nuove misure di gestione della sovrabbondante "risorsa ungulati", andando a perfezionare iniziative sviluppate già nel 2014 dal Piemonte. Il progetto, autorizzato e finanziato con la delibera di Giunta 1147 del 2020, fuoriesce dalla logica degli interventi estemporanei per istituire un percorso istituzionalizzato e strutturato che vede una collaborazione tra Regione, Ambiti territoriali di caccia, Centri di lavorazione della selvaggina e Banco alimentare, l'ente che è stato designato per la raccolta e la distribuzione della carne di selvaggina. Si è così venuta a creare una vera e propria filiera agroalimentare strutturata. Stefania Saccardi, all'epoca vicepresidente della Regione e assessore all'Agroalimentare, in occasione della prima consegna di selvaggina a luglio 2021, ha sottolineato come «L'impiego socialmente utile delle carni dei cinghiali abbattuti permette di distribuire alle persone in difficoltà alimentare un prodotto ad alto valore nutrizionale come la carne».
Il progetto ha numerose finalità: è infatti volto alla gestione di una risorsa malamente utilizzata, ha scopi meritori, permette ai cacciatori toscani di dare un senso alle proprie aspirazioni solidaristiche e si inserisce a buon diritto tra i Sustainable development goals dell'Agenda 2030 che, al punto 12.3, ribadiscono come occorra «dimezzare lo spreco pro capite globale di rifiuti alimentari nella vendita al dettaglio e dei consumatori e ridurre le perdite di cibo lungo le filiere di produzione e fornitura, comprese le perdite post-raccolto». La scelta del Banco alimentare – che ha tra i suoi principi il dono del cibo e il combattimento dello spreco – è pertanto coerente con tutte queste esigenze.
La lavorazione dei capi consegnati nel 2021 e il relativo confezionamento sono stati effettuati dal Centro di lavorazione Sant'Uberto di Bologna, uno dei 5 che ha inizialmente aderito agli avvisi pubblicati dalle tre Asl toscane. Il meccanismo prevede che i cacciatori e gli enti di gestione della Aziende faunistiche consegnino la selvaggina agli Atc; successivamente intervengono i Centri di lavorazione selvaggina che, a loro volta, consegnano la carne confezionata sottovuoto al Banco alimentare, che provvede alla successiva distribuzione del surgelato. Le Asl rimborsano con fondi regionali i costi sostenuti dei Centri di lavorazione selvaggina e garantiscono il rispetto degli standard di sicurezza alimentare.
Progetto ungulati, un primo bilancio
A un anno di distanza dall'attivazione del progetto si può stilare un primo bilancio dal sapore dolce-amaro. Se, infatti, l'istituzionalizzazione del percorso e la sua logistica si sono dimostrate vincenti, si deve rilevare come solo mille e cinquecento chilogrammi di polpa siano stati distribuiti. Se confrontiamo questo dato con la potenzialità del progetto e, soprattutto, se lo valutiamo in termini assoluti, è facile intuire come le sue potenzialità non si siano ancora espresse.
Ma questo sarebbe un giudizio parziale: il progetto rappresenta infatti un punto di svolta, un modello che si spera possa attecchire ed essere esportato in altre Regioni. Indica inoltre l'esistenza di una volontà politica ad affrontare il tema con spirito laico.
Se è forte l'esigenza al dono da parte dei singoli cacciatori – mi ha confermato Piero Ranfagni, responsabile dei rapporti con le aziende del Banco alimentare della Toscana – bisogna fare ancora molto – aggiungo io – affinché tra gli Atc si diffonda la consapevolezza del ruolo e, quindi, una reale collaborazione con i cacciatori e il Banco. Al momento, infatti, hanno risposto pochi ambiti, principalmente quelli del senese. Lo conferma il fatto che, delle risorse stanziate dalla Regione, ne siano state utilizzate solo l'otto per cento circa. Insomma, si può fare di più: il meccanismo funziona, la materia prima è abbondante, i cacciatori sono solidali e i potenziali beneficiari del progetto lo apprezzano. Le condizioni per costituire «una grande catena di coesione sociale» ci sono tutte.
Se sei interessato alla caccia sostenibile e alla conservazione dell'ambiente e della fauna selvatica, segui la pagina Facebook e l'account Instagram di Hunting Log, la rivista del cacciatore responsabile.