di Matteo Brogi
La caccia non è solo letteratura
Scrittrice per certi versi divisiva, Susanna Tamaro si è nuovamente schierata contro la caccia. Pur provenendo da una famiglia di cacciatori, si dimostra vittima di luoghi comuni e disinformazione. Si è persa una delle poche coscienze critiche con cui confrontarsi?
Sta facendo discutere un articolo di Susanna Tamaro che, sul Corriere della Sera del 15 maggio 2024, ha scritto di caccia, della riforma di legge Bruzzone e delle modalità escogitate per giungere all'approvazione delle norme salienti. Non è la prima volta che scrive dell'argomento; ricordo un suo precedente pezzo di settembre 2017, sempre per il Corriere, che commentai in un editoriale di Sentieri di Caccia. All'epoca apprezzai pubblicamente il modo garbato con cui la scrittrice triestina argomentava la sua contrarietà alla caccia, scevro dai fondamentalismi ideologici del nostro tempo, e apprezzavo l'approccio costruttivo della sua critica, che evidenziava spunti di riflessione interessanti. Il tema della perdita della biodiversità come bussola per governare le nostre sensibilità, per esempio.
Susanna Tamaro dal 2017...
Nel 2017, Tamaro auspicava «Un serio discorso sulla caccia e sul sempre più devastato patrimonio naturale del nostro Paese. Un discorso che non evochi immagini di cerbiatti agonizzanti [...] né che demonizzi una categoria di persone, peraltro variegata e con diverse sensibilità». E continuava: «A parte i nostri animali di affezione, nessun esemplare che vive libero muore di vecchiaia. Mors tua, vita mea. Se vogliamo parlare poi del benessere animale, la vita di un fagiano, anche se finisce in padella, è infinitamente più desiderabile di quella di una gallina di allevamento, magari con il becco tagliato, che sconta i suoi pochi giorni di esistenza in un capannone sovraffollato senza mai raggiungere la felice dignità che la sua gallinacea vita richiederebbe. Lo scandalo in questo caso non è la morte, ma la non vita a cui si costringe l'essere vivente [...] La caccia fa parte della cultura del nostro territorio e non può essere eliminata [...] ma forse è arrivato il momento di chiedersi anche giuridicamente in nome di che cosa una minoranza può tenere in scacco e distruggere un bene che dovrebbe essere proprietà indisponibile di una maggioranza [...]. La natura è la nostra casa comune».
... al 2024
Il suo pensiero è evoluto e, nel 2024, al fianco di alcuni errori (mi riferisco al tema dei richiami, affrontato in maniera palesemente non aderente alla realtà) che attestano come purtroppo si sia ispirata alle critiche di certo mondo ambientalista e abbia preso per buone le argomentazioni dei partiti che fanno ostruzionismo in Parlamento, parla di «inutile crudeltà» e, lanciandosi in un ardito quanto intrigante parallelismo con la letteratura, scrive che «La situazione del mondo degli uccelli è in qualche modo lo specchio della nostra società. Sopravvivono i più forti come le cornacchie, grandi divoratori di piccoli nidiacei di altre specie: gli specialisti, i delicati uccelli canori sono destinati a sparire, così come, nel nostro mondo sempre più sotto il dominio della tecnica e dell'efficienza, spariscono la gentilezza, la compassione e la dolcezza della poesia».
Mi sembra che a distanza di sette anni la compassione abbia preso il sopravvento e impoverito il pensiero della Tamaro, che oggi può trovare sponda tra animalisti, antispecisti, vegani e altre categorie verso le quali si è dimostrata anche critica in passato. Un'evoluzione che la trasforma, a mio avviso, da libera coscienza con cui confrontarsi dialetticamente in attivista.
Ascoltiamo la scienza, non gli attivisti
Credo sia chiaro che il confronto tra la nostra mentalità e quella di animalisti, antispecisti, vegetariani di cui sopra sia impossibile se non inutile perché i valori etici di riferimento non sono conciliabili. Per confrontarsi bisogna allora andare sui numeri, sugli studi, sulla scienza. Da utilizzare in maniera onesta e trasparente, senza strumentalizzazioni o in maniera selettiva. Scienza e attivismo - da una parte e dall'altra - devono rimanere separati, concettualmente e praticamente: bisogna diffidare dagli scienziati che si trasformano in attivisti così come degli attivisti che si spacciano per scienziati, appunto leggendo selettivamente le informazioni.
Cosa che fa per esempio il Fatto quotidiano, con un articolo in cui evoca per l'ennesima volta "un nuovo Far West" e, accusando il mondo venatorio di un intento di disinformazione, la pratica senza pudore. Scrive il Fatto, promotore peraltro di una petizione online, che «i cacciatori potranno sparare senza più regole» e, facendo ricorso alle parole dell'ex ministro Sergio Costa, ricorda come le priorità per la società sarebbero «Trovare soluzioni per le famiglie che non arrivano alla fine del mese, far ripartire la nostra sanità, assicurare ai nostri ragazzi un'istruzione degna di questo nome in strutture funzionanti e organizzate". Ovvio. «Che urgenza c'è nello sparare?», chiosa Costa. Il riferimento, ovviamente, è agli emendamenti della Lega al ddl di conversione del decreto Agricoltura che dovrà apportare le modifiche di cui si parla in questi giorni.
La riforma, tra luci e ombre
Ebbene, io non credo che tutti gli emendamenti siano centrati; diciamocelo: di alcuni non se ne sentiva il bisogno, né a livello gestionale né di comunicazione. Però sono favorevole all'abolizione dei giorni di silenzio venatorio (una perversione che conosciamo solo noi italiani) e alla validità nazionale delle abilitazioni per la caccia agli ungulati; altri aspetti andrebbero meglio armonizzati alle necessità gestionali. Ma il punto centrale è che - come ha dichiarato l'onorevole Bruzzone a Hunting Log - il primo obiettivo cui è finalizzata la proposta è la "certezza del diritto" che, oggi, con i calendari venatori regionali impugnati costantemente dai Tar (dieci nell'annata 2023/2024), manca. Se il mondo fintamente ambientalista avesse contribuito costruttivamente per superare con una legge razionale l'impasse, anziché sfruttarlo come pretesto, non ci sarebbe stato bisogno di questa forzatura per risolvere una questione che andava inevitabilmente affrontata. Ma, appunto, quello dei calendari è lo strumento che tante Associazioni hanno utilizzato negli anni per bloccare la caccia. Credendo in questo modo, erroneamente, di salvaguardare l'ambiente.
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