di Matteo Brogi
La caccia: impariamo a comunicare meglio la nostra passione
Secondo gli ultimi dati disponibili, la caccia in Italia gode di un grado di accettazione del 41%. I contrari corrispondono al 48% della popolazione. Questo deficit di reputazione è una caratteristica della nostra nazione che non trova riscontro nell'Europa centro-settentrionale. A Caccia Village se ne è parlato con professionisti della comunicazione di Danimarca, Francia e Germania nel tentativo di individuare delle soluzioni
La caccia, in Italia, è afflitta da una pessima reputazione che, per la verità, un recente studio di Nomisma riferisce più ai praticanti che non all'esercizio venatorio in sé. Cosa ben diversa rispetto all'Europa centro-settentrionale. Qualcuno riduce il problema e il contrasto con il mondo ambientalista alla passionalità del carattere mediterraneo, che distingue tra amici e nemici e non fa prigionieri. Qualcun altro si limita a osservare il fondamentalismo del mondo ambientalista, che alle nostre latitudini ha posizioni oltranziste.
Lo sforzo di identificare le cause di questo debito di reputazione resta però senza senso se non ci si impone di ripensare in maniera oggettiva il rapporto tra il mondo venatorio e quello ambientalista. Senza dare per scontato che le colpe siano tutte dall'altra parte e con la consapevolezza che più di qualche errore è a carico della nostra categoria. Errori gestionali, certo, ma pure nel comunicare la passione e le ragioni che animano il nostro sforzo. Per questo motivo - in occasione di Caccia Village 2023 - Hunting Log ha invitato a un pubblico confronto Maurizio Donelli (giornalista del Corriere della Sera e autore della serie Caccia buona su Caccia TV) e tre comunicatori provenienti da contesti dove la caccia è accettata senza tanti problemi: il danese Danny Christensen (produttore televisivo e fotogiornalista, esperto in tecniche di comunicazione), il francese Laurent Bedu (giornalista, direttore di Armes des Chasse e di Connaissance de la Chasse) e il tedesco Peter Diekmann (giornalista, direttore di Deutsche Jagd).
Italia: gli errori sono di tutti
Il tema della comunicazione della caccia interroga tante categorie: le associazioni venatorie, le aziende di settore, la grande comunità dei cacciatori italiani. È toccato a Maurizio Donelli predisporre un quadro critico della situazione nazionale; nel suo intervento, partendo dal principio che le «le parole sono pietre», ha evidenziato l'approccio negativo degli organi di informazione verso la caccia dal quale il mondo venatorio si difende nella maniera sbagliata. Essenzialmente facendo riferimento a un linguaggio che non è comprensibile al di fuori del nostro ambiente, quasi un'autocensura, una maschera che fa da schermo alla realtà.
Se continuiamo a parlare tra di noi nel "maso chiuso" all'interno del quale siamo confinati, nessuna informazione potrà mai uscire ed essere compresa dall'opinione pubblica. Il problema è radicato ma esiste - secondo Donelli - una soluzione: «Non dobbiamo più essere noi cacciatori a comunicare la caccia: la comunicazione è una cosa seria che va fatta dai professionisti». E riporta il caso del gioco d'azzardo, un mondo un tempo oscuro che faceva pensare a bische clandestine e attività illegali. Oggi, grazie a una comunicazione efficace e a testimonial credibili, è uscito alla luce del sole e gode di un nuovo grado di accettazione.
L'auspicio di Donelli è che le associazioni venatorie collaborino finanziando un grande progetto di comunicazione da affidare alla migliore agenzia su piazza. Se, da una parte, è difficile difendere l'esito della caccia (l'uccisione del selvatico), dall'altra non mancano i temi che potrebbero servire alla causa: su tutti, il legame con il mondo dell'agricoltura e la cucina («La carne di selvaggina è la carne più bio che esista»). Ma bisogna lavorare sul fronte dei cacciatori (anche prendendo coscienza che non tutti sono degni di rappresentare la categoria), spiegare agli chef che la carne allevata non ha niente a che fare con quella cacciata, sostenere una vera filiera alimentare a livello nazionale e coinvolgere la politica. Per farlo, conclude, «Bisogna appoggiarsi ai bravi comunicatori, loro sanno come fare».
Danimarca: la caccia come stile di vita
Il background di Danny Christensen è nella comunicazione, nelle relazioni pubbliche e nella pubblicità; insegna comunicazione visiva all'Università di Milano. Al tempo stesso è cacciatore e conosce le realtà danese, americana (dove ha vissuto per 20 anni) e italiana; risiede nel nostro paese ormai da 5 anni. Nella sua trattazione, Christensen parte dal principio che in Danimarca la caccia è uno stile di vita socialmente accettato. Se ne parla apertamente anche sui canali generalisti e il tasso di approvazione rasenta il 90% della popolazione. Oltre a questo dato, che stabilisce un'immediata differenza con la realtà italiana, nel paese scandinavo la comunicazione sulla caccia è centralizzata in un'unica organizzazione venatoria, prevale un approccio razionale rispetto a quello più emotivo ed è radicata una forte fiducia nelle Istituzioni e nelle decisioni basate sulla scienza.
Nel mondo moderno si comunica per immagini. «Statisticamente - sostiene Christensen - abbiamo 0,49 secondi per attrarre l'attenzione di chi guarda un video o una fotografia». Un lasso di tempo molto breve che dobbiamo imparare a utilizzare al meglio. Alla base del suo ragionamento è il principio che nella società contemporanea niente è privato e che, nel comunicare, ci confrontiamo con un'audience fatta principalmente di non cacciatori. Insomma, il compito non è banale: si deve comunicare a 360 gradi avendo a disposizione pochissimo tempo. La prima immagine che diffondiamo spesso deve poter raccontare l'intera storia; se è sbagliata è la prima cartuccia che forniamo contro di noi ai nostri detrattori.
«La maggior parte dei cacciatori è maschio e appartenente alla generazione dei baby boomers ai quali non è stato insegnato a comunicare apertamente le proprie emozioni. Pertanto, nella maggior parte dei casi la componente mentale ed emozionale della caccia viene trascurata. Quello che resta, e su cui si concentra il pubblico, è l'uccisione, non l'esperienza in sé».
Per concludere, Christensen ha condiviso un decalogo sviluppato in numerosi anni di esperienza con campagne di successo da parte dall'Associazione dei cacciatori danesi. Sono spunti di riflessione che possono essere fatti propri da tutti i cacciatori:
- Nel parlare di caccia, sii autentico e concentrati su ciò che sai fare bene e di cui sei appassionato;
- coinvolgi il tuo pubblico: "ciò che ascolti lo dimentichi, ciò che vedi lo ricordi, ciò che provi lo padroneggi";
- assicurati che le persone sappiano che esisti. Usa la tua rete o presentati di persona nelle scuole;
- inizia a comunicare con obiettivi accessibili, come visitare la classe di tuo figlio o connetterti con altri della tua rete di conoscenze;
- partecipa ai tuoi primi eventi dedicati alla caccia con altri. Spesso è più divertente fare le cose insieme;
- collaborare con altri è piacevole e aiuta a tenersi motivati e a generare nuove ed entusiasmanti idee per la comunicazione;
- la caccia è naturale; gli animali moriranno comunque. Immagina lo sviluppo di una popolazione senza caccia - come sarebbe?
- coinvolgi chi ti ascolta con il cibo, da un pezzo di carne cruda a un assaggio; tutto avrà più senso;
- sii aperto e accogliente. Ascolta i tuoi interlocutori, accetta le loro prospettive ed espandi i loro orizzonti con le tue idee. Non vedere mai le cose come semplicemente bianche o nere. Non c'è una sola verità;
- non fare mai qualcosa di cui ti vergogneresti di parlare, ma parla di ciò che fai. Quando comunichi nella tua area, aiuti a garantire una comprensione della caccia, a formare buone relazioni con la comunità locale e a promuovere una visione positiva della caccia.
Germania: bando all'ipocrisia
Peter Diekmann, direttore di una tra le più importanti riviste di settore tedesche, ha condiviso l'esperienza della sua nazione. La Germania vive una situazione complessivamente positiva, dove il 90% dei cittadini tedeschi considera la caccia "utile e necessaria" e si assiste a un progressivo allargamento della base dei praticanti che, negli ultimi 20 anni, sono passati da 340.000 a 410.000 con un notevole incremento percentuale generale e, in dettaglio, della componente femminile. Il mondo della caccia, in passato sotto assedio, ha avuto la capacità di compattarsi e di parlare con una sola voce.
Diekmann ha evidenziato come questo successo è coinciso con un radicale cambio di strategia nel comunicare i valori che animano i cacciatori tedeschi. Parlare di noi stessi come ambientalisti ed evidenziare quanto di buono può fare un cacciatore per l'ambiente è una strategia miope, vecchia, addirittura disonesta. Le attività che ci vantiamo di condurre in difesa della natura si possono fare - tutte - senza la licenza di caccia. Bisogna quindi essere tanto onesti da accettare il fatto che siamo spinti dalla nostra passione per l'azione di caccia che, inevitabilmente, prevede l'uccisione della preda. Nasconderselo è ipocrita.
Ciò premesso, ogni cacciatore deve essere consapevole del proprio ruolo di ambasciatore della caccia e comportarsi di conseguenza, prendendo parte attiva - da persona informata - alle discussioni sul tema e puntando su argomenti - quali le proprietà delle carni di selvaggina - che non possono essere smentiti da nessuno. Bisogna quindi essere onesti, umili, orgogliosi di quello che ci è permesso di fare ma pure grati di questa concessione.
Peter non ha mancato di dare qualche suggerimento ai cacciatori italiani, una sorta di piano di comunicazione in sei punti che ha funzionato in Germania negli ultimi anni:
- Onestà sempre e prima di tutto;
- valorizzare la componente femminile della caccia;
- mandare in prima linea a comunicare persone che sappiano farlo in maniera educata;
- cacciare per alimentarsi;
- cacciare in maniera sostenibile e parlarne pubblicamente;
- non prendersi mai troppo sul serio.
Francia: spiegare, non difendere
I nostri cugini transalpini vivono la caccia in maniera non troppo differente da noi: negli ultimi anni si è assistito a una riduzione delle licenze (però ancora prossime al milione) e a una progressiva disconnessione della popolazione dalla natura e dalle proprie radici rurali. Sono state organizzate numerose dimostrazioni pubbliche contro la caccia e sono frequenti le operazioni di sabotaggio nei confronti delle installazioni venatorie, con una stampa tendenzialmente compiacente verso gli autori di questi gesti - peraltro illegali.
Il mondo venatorio francese - sostiene Bedu - ha tardato a reagire ma sono stati gli stessi eventi avversi a spingere gli abitanti delle città che desideravano riscoprire le proprie radici a prendere la licenza. A seguire, l'associazione nazionale dei cacciatori ha cambiato strategia di comunicazione, passando dalla strenua quanto mera difesa della caccia alla sua "spiegazione", con campagne stampa nella metro di Parigi e sui canali televisivi nazionali. Questo movimento si può ancora migliorare, secondo Bedu, rendendo la caccia più accessibile ai giovani con il ritorno della piccola selvaggina, prevenendo gli incidenti di caccia con una più incisiva opera di sensibilizzazione e normalizzando con un confronto civile il conflitto con coloro che usufruiscono del contesto naturale in maniera alternativa.
I cacciatori - ambasciatori della propria passione - devono essere comunicatori attivi ed efficienti. Gastronomia, iniziative sociali come gli interventi attivi nel ripristino ambientale, programmi di coinvolgimento dell'opinione pubblica come Un dimanche à la Chasse e una certa attenzione ambientale sono temi che la comunità dei cacciatori - a prescindere da dove operino - possono utilizzare in maniera proficua per migliorare la percezione della propria attività e farla sopravvivere alle sfide di questo secolo.
Per concludere, il confronto con questi professionisti della comunicazione deve essere uno stimolo per fare meglio. A tutti i livelli. Partendo dalle Associazioni venatorie, quindi, ma senza dimenticare che il ruolo di ogni singolo cacciatore è cruciale per restituire credibilità alla nostra passione.
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