di Matteo Brogi
La caccia non è incostituzionale! Ne parliamo con Fondazione UNA
A una vittoria (la sentenza del Tar per la Regione Lombardia) è seguita la doccia fredda del ricorso delle associazioni animaliste, accolto dal Consiglio di Stato. La battaglia sulla legittimità dell’attività venatoria, dopo la riforma dell’articolo 9 della Costituzione, impone una decisa presa di responsabilità da parte del mondo venatorio
La salvaguardia dell'ambiente è entrata nella Costituzione italiana in virtù della legge costituzionale 1/2022, in vigore dal 9 marzo 2022, votata a larga maggioranza dalle due Camere del Parlamento. Da subito, le associazioni animaliste hanno cercato di piegare ai propri fini le variazioni introdotte, tanto che Fondazione UNA con Osservatorio Agromafie e AB – Agrivenatoria Biodiversitalia, non più tardi della scorsa estate, ha promosso un convegno in cui costituzionalisti italiani ed esperti del settore si sono confrontati sulle modalità d'interpretazione dell’Articolo 9 della Costituzione e dei principi che enuncia.
Fondazione UNA (Uomo, natura, ambiente) si impegna dalla nascita a favore della gestione virtuosa del territorio e della fauna selvatica, sforzandosi di coniugare gli interessi e le visioni dei mondi ambientalista, agricolo e venatorio, coinvolgendo quelli scientifico e accademico; crede nella necessità di un approccio razionale e scientifico per l’interpretazione dei nuovi principi costituzionali ed è per questo che ha promosso l'occasione di confronto di cui si è scritto. La corretta lettura delle modifiche alla Costituzione rappresenta, infatti, un tema cruciale per il mondo venatorio italiano inteso come strumento di gestione degli equilibri faunistici.
Un primo risultato concreto è stato ottenuto il 7 ottobre 2024, con la sentenza del TAR della Regione Lombardia, che ha respinto il ricorso presentato da diverse associazioni anticaccia (Lac, Wwf Italia, Lipu e altre) contro il calendario venatorio regionale per la stagione 2024-2025. La sentenza assimila gli argomenti chiave emersi durante il convegno di luglio e rappresenta un chiaro segnale che l’approccio razionale e scientifico di Fondazione UNA e di AB – Agrivenatoria Biodiversitalia è vincente; ha stabilito infatti almeno due punti interpretativi fondamentali: l’infondatezza della questione relativa alla legittimità costituzionale dell’attività venatoria e la falsa pretesa che le norme dell’Unione europea vieterebbero la caccia. Su questo risultato, indubbiamente positivo, si innesta il successivo ricorso delle associazioni animaliste al Consiglio di Stato, che hanno di nuovo chiesto lo scorso 6 novembre di sospendere “su tutto il territorio regionale l’attività venatoria per via della incompatibilità dell’attuale normativa sulla caccia con l’articolo 9, comma 3, della Costituzione”.
Ne abbiamo parlato con l’avvocato Lorenzo Bertacchi, membro del Comitato scientifico di Fondazione UNA, per capire cosa potrà accadere nel futuro e quali rischi concretamente corre l'attività venatoria.
Indipendentemente dalla piega che prenderanno le cose in merito al ricorso delle associazioni animaliste al Consiglio di Stato, la sentenza 2583/2024 del Tar per la Lombardia ne evidenza la portata giurisprudenziale a vantaggio del mondo venatorio. I giudici, infatti, hanno respinto come “manifestamente infondata” l’interpretazione di alcune associazioni animaliste che, appellandosi alla riforma dell’articolo 9 della Costituzione, ritenevano la caccia illegittima perché in contrasto con la tutela degli animali. Qual è, alla luce della sentenza, la corretta lettura dell’articolo 9?
Premettiamo che il Consiglio di Stato potrebbe ribaltare la sentenza del TAR Lombardia, ma ne sarei stupito, perché la lettura che gli animalisti danno del nuovo articolo 9 renderebbe di fatto incostituzionale ogni forma di "sfruttamento" degli animali, a cominciare dall'allevamento a fini alimentari per finire alla detenzione in cattività di animali che non possono certo essere definiti d'affezione: dai pesci negli acquari ai canarini.
In realtà la Costituzione non tutela direttamente gli animali, ma testualmente prevede che "La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali". Di fatto è introdotta una riserva di legge per lo Stato e pertanto oggi la Legge 157/92, che è una legge sulla protezione della fauna omeoterma e introduce numerosissimi divieti e limitazioni alla caccia, e non è semplicisticamente "la legge sulla caccia", rispetta in toto il dettato costituzionale.
Peraltro, con la sentenza il TAR Lombardia è andato oltre, e questo ha certamente lasciato sgomenti gli animalisti, che anziché vedere accolta la loro tesi sull'incostituzionalità della caccia, si sono addirittura sentiti dire che la caccia, visto il suo alto valore sociale, tradizionale e anche di conservazione della biodiversità, rientra tra quegli interessi e quelle attività riconosciute dalla stessa Comunità Europea come attività da tenere in considerazione nel contemperamento di interessi, ed è compatibile con la tutela degli animali. Per quanto in via mediata e indiretta, il TAR ha riconosciuto che la caccia in Italia incarna principi di rango costituzionale.
L’approvazione della riforma costituzionale ha fornito spazi che lasciavano presagire ricorsi sulla base di interpretazioni forzate. Ritiene che in futuro vi possano essere ulteriori attacchi basati su diverse interpretazioni dell’articolo e che, addirittura, altri Tribunali possano avallarle e quel è il suo presentimento sul ricorso al Consiglio di Stato?
Per le associazioni animaliste, soprattutto le più integraliste, può essere una partita da giocare all'infinito: anche se il Consiglio di Stato respingesse ora la tesi, io credo che continueranno a sostenerla anno dopo anno, sentenza dopo sentenza, affinando sempre di più l'assalto. Le ricadute sarebbero enormi, e non riguarderebbero solo la caccia: pensiamo alla ricerca, alla pesca, all'allevamento professionale e domestico.
Nel ricorso, le associazioni animaliste vogliono sfondare su un principio: la caccia quale attività "ludica" o per meglio dire "ricreativa" è, secondo loro, incompatibile con la Costituzione. Se la difesa che abbiamo è legata alla cultura, al valore sociale, alle tradizioni è evidente che – se non nell'immediato – il rischio è altissimo, poiché saremo sempre in balia dell'evoluzione del sentire sociale e pertanto la caccia si salverebbe solo con una inversione di rotta sulla percezione che la società ha del cacciatore.
Quanto al presentimento sul ricorso in Consiglio di Stato stiamo parlando della stessa sezione che ha accolto la richiesta di sospensiva dell'ordinanza del TAR Abruzzo con conseguente divieto di avvio della caccia di selezione al cervo, e siamo ancora in fase cautelare: il Consiglio di Stato quindi potrebbe accogliere la richiesta di sospensione per il principio di precauzione senza esaminare quasi nulla e poi, a caccia chiusa, potrebbe chiudere il ricorso senza decidere, per carenza di interesse perché il calendario ormai avrà cessato i suoi effetti.
Qual è a suo avviso la strada da percorrere per sanare il vulnus legato ai continui ricorsi successivi all’approvazione dei calendari venatori regionali?
È sotto gli occhi di tutti che una modifica della 157/92 è rimasta una chimera. Per esempio, si potrebbe formulare il comma 1 dell'articolo 18 chiarendo che i periodi in esso indicati sono rispettosi della Direttiva Uccelli e che il parere dell'ISPRA è richiesto, quanto al calendario generale, solo nel caso di anticipazione dell'apertura o di posticipazione della chiusura a talune specie. Sarebbe già tanto chiarire che il parere dell'ISPRA deve essere limitato alla rispondenza dei periodi di caccia ai Key Concept e non a valutazioni che rischiano di diventare elucubrazioni soggettive: il 90% delle raccomandazioni dell'ISPRA su posticipo apertura e anticipo chiusure non si fonda sui periodi di migrazione o di allevamento della prole, ma sul disturbo arrecato dalla caccia per lo più a specie non cacciabili.
Inoltre, o i Ministeri impongono all'ISPRA di utilizzare le nuove tecnologie per stabilire i periodi di migrazione, oppure il legislatore deve consentire alle Regioni di stabilire i periodi armonizzandoli con i dati degli altri Paesi europei. I periodi stabiliti dall'ISPRA sono un unicum in Europa. Da questo punto di vista basterebbe peraltro che i Ministeri competenti mettessero limiti chiari. Gli atti amministrativi, tuttavia, possono sempre essere esposti al rischio di sospensiva: nella cosiddetta fase cautelare il Giudice amministrativo decide semplicemente sul possibile pericolo che la caccia arrechi un danno al patrimonio faunistico, e difficilmente esamina le motivazioni date dalla Regione. C'è chi sostiene utile approvare i calendari venatori, invece che con atto amministrativo, con legge non impugnabile al TAR, ma ciò comporterebbe un rischio altissimo di incostituzionalità degli stessi.
Come crede - alla luce del dettato costituzionale - che la comunità venatoria possa interagire con tutte le parti coinvolte ai fini della gestione sostenibile e responsabile delle risorse faunistiche?
Credo che oggi purtroppo siamo giunti a una frattura profondissima per cui per il mondo ambientalista, ormai diventato animalista intransigente, non possa esistere gestione che contempli l'abbattimento. Prendiamo i pareri dell'ISPRA: sono le tavole della legge se si limita la caccia e l'ISPRA diventa l'Istituto scientifico per eccellenza; se l'ISPRA invece in chiave gestionale dà parere positivo alla caccia di selezione al cervo (attività necessaria per il contenimento dei conflitti e per la tutela della biodiversità) smette di essere "scientifico”.
Per anni le battaglie delle associazioni animaliste in concreto hanno riguardato la piccola migratoria e alcuni cacciatori dicevano che era una caccia anacronistica e che solo la selezione era al sicuro "perché è gestione", "perché è utile", "perché è necessaria": è evidente che ora è partito l'attacco contro la caccia di selezione. I cacciatori però devono fare il loro e capire l'importanza dell'immagine della caccia che di sicuro passa per la sostenibilità, ossia per il rispetto delle regole che garantiscono la sostenibilità stessa. Bisogna fare quadrato con il mondo agricolo. Bisogna poi comunicare all'esterno, ma serve qualcuno che parli una lingua diversa, che venga capita dalla gente che a caccia non ci va. E iniziative come quelle di Fondazione UNA diventano fondamentali, perché al momento l'obiettivo primario è far capire che la tutela e la conservazione dell'ambiente, della biodiversità e della fauna stessa non si ottiene vietando la caccia.
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