di Matteo Brogi
La caccia al trofeo è sostenibile
L'etologo e zoologo Sandro Lovari lo conferma: la caccia al trofeo è sostenibile, anche dal punto di vista evolutivo delle specie oggetto di prelievo venatorio. È però necessario un monitoraggio continuo, anche delle dinamiche gestionali. I casi del markhor e del bighorn
Caccia al trofeo, tra interferenza e conservazione è il titolo della lectio brevis che il professor Sandro Lovari ha tenuto ai membri del Cic in occasione dell'Assemblea annuale della Delegazione italiana, a ottobre 2022.
Nel suo intervento, Lovari ha toccato un tema spinoso: quello dell'utilità - a fini gestionali e, soprattutto, conservazionistici - della cosiddetta caccia al trofeo. Un aspetto dell'attività venatoria pesantemente criticato dalle anime belle dell'ambientalismo di facciata che, peraltro, suscita forti contrapposizioni anche all'interno della comunità dei cacciatori quando si parla di conservazione in Africa. A questo proposito ricordo molto bene, quando ero direttore di Cacciare a palla, le polemiche che spesso seguivano la pubblicazione di articoli di caccia africana dedicati al prelievo di selvatici-totem quali l'elefante e il leone. Insomma, la questione è aperta non solo nel mondo dell'ambientalismo ma pure tra i cacciatori. Senza dimenticare la comunità scientifica.
Una risorsa amministrata
Lovari ha evidenziato come nel corso dell'evoluzione umana si sia passati da una caccia di sussistenza (fino a 14.000 anni fa) a uno sfruttamento inconsapevole di una risorsa alimentare secondaria. Dal XX secolo anche questa fase può dirsi conclusa e l'esercizio venatorio è un'attività "più o meno consapevole" in cui i selvatici sono trattati come una risorsa naturale amministrata. Questo principio è veicolato soprattutto dalla caccia di selezione attraverso "piani annuali di abbattimento, a livello locale, in cui i cacciatori prelevino un numero limitato di capi, scelti per sesso e età sulla base di conteggi, per indirizzare la popolazione verso una struttura equilibrata, con un teorico rapporto 1:1 tra i sessi e una bilanciata composizione per età". Gli strumenti per amministrare la fauna sono ora ben noti e riassunti, da Lovari, in quattro punti:
- il ripristino di un habitat idoneo;
- la realizzazione di censimenti attendibili;
- il rispetto della biodiversità locale;
- un prelievo conservativo.
Su tutto questo si innesta il tema del trofeo, tipico di una fase in cui il prelievo non è più appunto finalizzato alla sussistenza ma risponde ad altre aspettative che non è semplice indagare.
Il dilemma della caccia al trofeo
Quando si parla di trofeo, non si deve dimenticare che corna e palchi sono elementi funzionali del selvatico (come strumenti di difesa o caratteri sessuali secondari); indicano le condizioni fisiche e sanitarie delle singole popolazioni nonché dati sulla loro lo struttura utili per attuare le scelte gestionali più opportune. In un contesto in cui sia consentito il prelievo venatorio, diventano indicatori della qualità delle operazioni gestionali intraprese.
La caccia al trofeo - sostiene Lovari - ha un impatto demografico basso ma tende a generare critiche spesso ingiustificate; di converso, il cacciatore tende a reagire negativamente quando si evidenzia che questa può produrre cambiamenti evolutivi - non voluti - nelle caratteristiche fisiche della popolazione.
Nelle specie poliginiche, per esempio, dove pochi maschi monopolizzano gli accoppiamenti ogni anno, l'eliminazione anche di un solo maschio dominante produce effetti dirompenti nella trasmissione dei caratteri ereditari alle generazioni successive. Evidentemente, gli effetti sono di gran lunga minori se il principale tratto determinante il successo riproduttivo maschile non è quello ricercato dai cacciatori.
Prelievo episodico versus prelievo regolare
Due almeno sono i tipi di caccia al trofeo, secondo la divisione funzionale elaborata da Lovari. Si parla di un prelievo episodico quando siano interessate specie "esotiche", per esempio quelle tipiche del continente asiatico. In questo caso il problema gestionale più rilevante è il bracconaggio, quasi assente dove prevale il buddismo ma forte dove invece la popolazione aderisce a induismo e islamismo: il selvatico è visto semplicemente come una fonte di proteine e la pratica illegale si avvicina in qualche modo alla caccia di sussistenza. Il bracconaggio - lo dimostrano le esperienze sul campo - si previene con una sorveglianza intensa e quando la fauna selvatica porta un beneficio economico alle popolazioni locali, cosa che avviene mediante la valorizzazione indotta dalla caccia. In Pakistan, dove l'80% dei proventi delle licenze resta a livello locale, il markhor (Capra falconeri) è passato in pochi anni nella lista rossa di Iucn da endangered (in pericolo) a near threatened (quasi minacciata), una condizione che adesso ne consente il prelievo e dimostra come sia possibile ottenere lo scopo conservazionistico coinvolgendo le comunità locali (e i cacciatori di trofei).
Diverso è il discorso relativo al prelievo regolare e intenso comune in Europa, Nord America e mondo occidentale in generale. Tipico è il caso del bighorn (Ovis canadensis). In un contesto in cui viene privilegiato il prelievo sostenuto di esemplari vigorosi, la tendenza nelle dimensioni delle corna dei maschi suggerisce una regressione. L'analisi dell'evoluzione di questa specie dimostra che dove il tratto genetico ha forte dipendenza ereditaria, il prelievo selettivo è intenso e prolungato, la pressione selettiva viene esercitata precocemente e pesantemente su un'area ampia, la cosiddetta trophy hunting influenza l'evoluzione delle caratteristiche della popolazione.
La selezione... seleziona
La caccia al trofeo - si chiede Lovari - è evolutivamente sostenibile oppure no? La sua risposta, confortante, è affermativa. I gestori della fauna e i cacciatori già comprendono l'importanza della dinamica di popolazione e della qualità dell'habitat nella gestione venatoria ma è necessario accettare anche il fatto che la caccia di selezione al trofeo possa davvero selezionare. La raccomandazione di Lovari è quindi di «tenere una mente aperta, comportandosi di conseguenza» quando gli effetti della selezione diventino evidenti e richiedano un aggiustamento delle dinamiche gestionali.
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