di Redazione
L'associazionismo venatorio continua a non capire la portata della psa
Dopo una seduta straordinaria del proprio consiglio, Federcaccia Toscana-Uct in merito alla gestione del cinghiale ha assunto una posizione "ferma a difesa dell'etica e della corretta gestione della specie". O, almeno, queste sono le parole usate dall'associazione le cui dichiarazioni dimostrano, ancora una volta, quanto il mondo venatorio sia lontano dalla comprensione di quanto sta accadendo oggi
Il Consiglio regionale della Federcaccia Toscana - Unione Cacciatori Toscani si è riunito giovedì pomeriggio in seduta straordinaria per discutete quanto emerso nei giorni precedenti in merito alla gestione del cinghiale sia a livello nazionale che regionale. La conversione in legge del cosiddetto Decreto agricoltura, le ripercussioni sul prossimo calendario venatorio regionale e ulteriori atti straordinari in via di approvazione hanno spinto l'Associazione ad arroccarsi su posizioni che, per quanto legittime, dimostrano, ancora una volta, l'immaturità del mondo venatorio davanti a un problema epocale come la peste suina africana.
La posizione di Fidc-Uct
Il Consiglio Regionale Fidc-Uct ha espresso la sua contrarietà all'allungamento del periodo di prelievo del cinghiale che, con la recente modifica nazionale, è passata da tre a quattro mesi. Secondo l'Associazione «questa misura rischia di indebolire inutilmente il sistema della caccia in braccata e le squadre organizzate, che ad oggi risultano essere una componente centrale anche per il contrasto alla PSA, e di interferire con le altre forme di caccia».
L'Associazione ha poi criticato l'incremento degli obiettivi numerici dei piani di prelievo bollandoli come «non ancorati a dati scientifici ed alle reali densità di popolazione della specie sul territorio». A preoccupare insomma è la chiara volontà politica di ridurre drasticamente il numero dei cinghiali.
Un copione già visto
Le posizioni espresse sono, sotto un certo punto di vista, fisiologiche e note. I cinghiali sono dei cinghialai e guai a chi li tocca. Da anni ormai si dibatte sulla titolarità del prelievo del cinghiale in forme diverse dalla braccata e le associazioni venatorie sono sempre state ben attente ad assecondare i desiderata e i malumori di chi pratica la caccia collettiva. Federcaccia Toscana lo dice chiaramente: «No a provvedimenti "spot" che lasciano problemi irrisolti indebolendo le squadre organizzate» dichiarandosi contraria a provvedimenti che introducono «forme di prelievo eticamente inaccettabili quali la caccia di selezione notturna, l'utilizzo di visori termici e foraggiamento attrattivo». In poche parole, tutto quello che è stato messo in campo per massimizzare il prelievo finalizzato al contrasto della Psa.
Un tempismo perfetto
La decisa presa di posizione dell'Associazione, che già di per sé suona stonata, giunge tra l'altro alla vigilia della conferma del primo caso di Psa in Toscana. Venerdì, il giorno dopo il consiglio straordinario Fidc-Uct, il Centro di referenza nazionale per le pesti suine ha infatti confermato la positività di una carcassa rinvenuta nel comune di Zeri, in provincia di Massa-Carrara. Come detto si tratta della prima evidenza della malattia sul territorio regionale e la scoperta determinerà l'allargamento delle zone soggette a restrizione verso sud-est.
Posizioni legittime ma criticabili
Le posizioni che traspaiono leggendo il comunicato Fidc-Uct sono sicuramente legittime come lo sono del resto, in un paese dove vige la libertà d'opinione, quelle di chi la caccia vorrebbe vietarla per legge. Quello che però non possiamo esimerci dal criticare è la scelta di difendere i numeri, o meglio le tessere, a scapito della caccia. Non sempre, anzi, in Italia quasi mai, assecondare i cacciatori corrisponde con fare il bene della categoria e dell'attività venatoria. Non capirlo ora, quando la gestione del cinghiale è diventata un'emergenza economica nazionale che vale circa 20 miliardi di euro e finalmente pare ci si sia decisi a premere sull'acceleratore, è ancora più grave.
Cosa perde di vista il mondo venatorio
Le posizioni espresse, come detto, sono quasi "naturali". Sono le stesse già viste dove la malattia ha imperversato e, proprio per questo, visti i risultati di un simile approccio, avrebbero dovuto essere ponderate con maggiore attenzione. A due anni e mezzo dalla comparsa della malattia nel nostro Paese, pare infatti che il mondo venatorio non ne abbia ancora compreso la portata epocale. La peste rappresenta una vera e propria rivoluzione, uno spartiacque in grado di definire un prima e un dopo. Un'affermazione che può sembrare esagerata, ma che chi ha un minimo di capacità di lettura dei fatti non può che condividere.
Resilienza, questa sconosciuta
Nonostante una delle parole ricevute in eredità dalla pandemia sia "resilienza", sembrerebbe che il mondo venatorio sia rimasto impermeabile a un simile concetto. La Psa avrebbe potuto essere un'opportunità irripetibile. L'esigenza di incidere fortemente sulle densità della specie avrebbe potuto consegnare al cacciatore quel ruolo di custode-gestore della biodiversità che già gli è riconosciuto in altri contesti europei e consegnarci un credito da incassare su altri fronti una volta sconfitta la malattia. Tutti invece ricordano gli "scioperi delle doppiette" e i piagnistei di chi si vedeva usurpato dei "propri" cinghiali quando le autorità hanno delineato le strategie di depopolamento e contrasto del virus.
Cosa succederà
Ovviamente non abbiamo la sfera di cristallo e non siamo in grado di prevedere quel che accadrà. Possiamo però dire cosa è già successo dove il mondo venatorio ha approcciato il problema in modo miope. Ne è uscito con le ossa rotte e la stessa cultura della caccia collettiva è di fatto stata spazzata via. Un esempio su tutti è la Lombardia, dove il mondo venatorio è stato coinvolto fin dai primi momenti e dove, a causa del rifiuto fattuale a fare ciò che veniva richiesto, depopolare senza remore, l'attività è stata affidata ad altri soggetti. Nello specifico realtà private che, a dispetto delle previsioni, hanno portato con poche decine di uomini gli stessi risultati di centinaia di cinghialai tanto da spingere altre Regioni a prendere in considerazione un simile approccio.
Nei fatti ci siamo rivelati un interlocutore inaffidabile, incapace di pensare alle necessità collettive a scapito del proprio tornaconto, un mondo diviso al suo interno dove a prevalere non è mai la posizione giusta ma quella comoda. E pare si voglia proseguire su questa strada...
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