di Matteo Brogi
Intervista a Camillo Langone: «La caccia è indispensabile»
Gli interventi di Camillo Langone a favore della caccia sono numerosi. Giornalista, scrittore, lucido analista (controcorrente) dei nostri tempi, non esita a esporsi su un tema che gli procura critiche e antipatie: la caccia
Se potessimo semplificare il mondo identificando come amici coloro che contrastano i nostri stessi avversari, ebbene, Camillo Langone non potrebbe che essere tra i nostri più cari compagni di viaggio. La sua voce laica (è affascinato dalla caccia ma non è cacciatore), sempre provocatoria, si erge di frequente a difesa dell'esercizio venatorio all'insegna del buon senso. C'è chi lo ama e chi lo odia, ma il suo pensiero è sempre e per tutti uno stimolo ad approfondire le motivazioni che ci spingono ad andare per campi e boschi con un fucile.
In una società "più sensibile alla sorte delle vongole che dei cristiani" - parole sue - è indispensabile ascoltare le voci fuori dal coro, sapere che esistono. I suoi interventi, che prendono di mira le deviazioni più dolorose dei nostri tempi, sono confortanti. Sapere che c'è chi ha la forza di criticarle e di respingere gli attacchi che ne conseguono, fa piacere. Anche se qualcuno, pure tra i cacciatori, può non condividerne l'ispirazione di fondo.
Con una tua recente Preghiera pubblicata su Il Foglio, hai aperto un nuovo fronte con gli ambientalisti e i sacerdoti del politicamente corretto invitando i padri a regalare alle figlie fucili anziché "borsette, viaggi, concerti, anelli". Perché poi possano andare a caccia. Da cosa nasce questo tuo interesse per la caccia?
Da una considerazione filosofica: senza la caccia, che è una plateale dimostrazione della superiorità dell'uomo sull'animale, si precipita nell'abisso dell'indistinzione. La caccia sostiene lo statuto dell'uomo, afferma la sua peculiarità: è dunque indispensabile alla dignità dell'uomo oggi sotto attacco.
Con il suo contrasto tra vita e morte, può la caccia essere un valido metodo di educazione per le generazioni di oggi?
Potrebbe esserlo ma, essendo uomo saggio, so bene che è impossibile farlo accettare. Le giovani generazioni le considero perdute. A potersi salvare, anche attraverso la caccia, sono soltanto i singoli, le singole persone, i singoli giovani. E non che le generazioni precedenti siano messe molto meglio, animalisti e vegani abbondano anche fra i quarantenni (fra le quarantenni pure di più).
Dalla prima intervista che mi hai rilasciato, nel 2016, la percezione comune della natura è cambiata. Accanto ai movimenti ambientalisti radicali, che strumentalizzano problemi reali, si è fatta sempre più evidente una visione falsa della natura che allontana i giovani dal vivere i boschi, le campagne, le montagne, il nostro Appennino. Credi che il recupero dei valori che la nostra civiltà sta perdendo possa passare dalla riscoperta di una vita "selvatica", che è quella cui in definitiva aspira il cacciatore?
Io non credo che gli ambientalisti strumentalizzino problemi reali, io credo che strumentalizzino problemi inventati. Inventati appunto per essere scagliati contro l'uomo. Perché homo homini lupus e nel momento in cui il cristianesimo perde influenza ecco che torna un paganesimo ferino in cui l'animale viene divinizzato e l'uomo abbassato, imbestiato. Riguardo la riscoperta della realtà, di un rapporto con la natura reale e non con quella idealizzata che si vede nei film e nei cartoni animati, sono talmente d'accordo che tempo addietro volevo organizzare una scuola di macellazione domestica, ma la cosa era così complicata che ho dovuto lasciar perdere.
La tua crociata per il prelievo dei cinghiali - specie quelli "inurbati" - ha suscitato più di una polemica. Si tratta di una posizione realista che, però, è avversata dalla cultura mainstream. Pensi che esista una soluzione a questo problema? Credi che lo si possa trasformare in opportunità?
Certamente avere un governo di destra anziché di sinistra, con partiti come Fratelli d'Italia e Lega non pregiudizialmente ostili ai cacciatori, è una finestra di opportunità. Bisogna battere e ribattere sulla pericolosità dei cinghiali e sulla grande risorsa alimentare (carne per giunta sanissima, come in tutti i selvatici) che essi costituiscono, in un'Italia in cui quasi tre milioni di persone, ripeto, quasi tre milioni di persone (sono dati Coldiretti), non hanno abbastanza soldi per comprare abbastanza cibo. Bisogna sempre ricordare che gli amici dei cinghiali sono i nemici dell'uomo.
Ritieni possibile, infine, che la gastronomia sia una chiave utile per rivitalizzare l'economia e risollevare il senso di appartenenza di aree oggi marginali della nostra Nazione?
Forse è l'unica possibilità per l'alta collina e la bassa montagna, quella fascia alpina e ancor più appenninica che non riesce a essere né residenza né meta turistica, siccome lontana sia dalle città sia dalle cime. L'identità italiana oggi è racchiusa soprattutto nel gusto e anche per questo è indispensabile rintuzzare gli attacchi sovranazionali, lanciati sempre più spesso da Bruxelles, contro le nostre tradizioni enogastronomiche.
La precedente intervista a Camillo Langone cui si fa riferimento è stata pubblicata su Cacciare a Palla di settembre 2016.
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