di Matteo Brogi
Il Tar del Lazio risparmia 130 suini in zona di restrizione
Anche i suini non sono tutti uguali. Il Tribunale amministrativo del Lazio accoglie il ricorso della Sfattoria degli ultimi contro l'abbattimento di 130 suini ospitati in zona di restrizione, a Roma. Con questa sentenza si innesca una vera "bomba biologica" che potrebbe vanificare tutte le azioni svolte per contenere la diffusione della peste suina africana. E i sacrifici di tutti quegli allevatori che hanno rispettato la normativa vigente
Dopo la scoperta del focolaio di peste suina nell'area nord della capitale (aprile), a inizio agosto la Asl Roma 1 – competente per territorio – aveva preteso l'abbattimento dei circa 130 suini tra maiali e cinghiali ospitati nella Sfattoria degli ultimi. La struttura rientra infatti nei confini della zona di restrizione, la cosiddetta zona rossa, dove è prevista l'istituzione del vuoto sanitario per contenere la diffusione della peste suina (ordinanza 25/2022 del Commissario straordinario alla peste suina).
Una seconda chance per... gli ultimi
La Sfattoria degli ultimi, che si definisce "santuario" secondo l'orrenda terminologia mutuata dalla lingua inglese, è una struttura che si prende cura di «maiali e cinghiali salvati da condizioni di disagio e maltrattamenti a Roma». La sua mission — aggiunge un volontario intervistato dal Corriere della Sera — è «dare una seconda chance di vita felice fino a morte naturale a maiali e cinghiali recuperati da condizioni di maltrattamento (maiali) e pericolo imminente di abbattimento (cinghiali inurbati)».
Ebbene, la Sfattoria degli ultimi ha fatto ricorso e l'ha vinto «per contraddittorietà, difetto di istruttoria e difetto di motivazione». Ieri, 10 ottobre 2022, il Tribunale regionale del Lazio ha depositato la sentenza 12.862 che accoglie il ricorso e annulla l'ordine di abbattimento degli animali adottato l'8 agosto scorso dalla Asl. Fin qui i fatti.
Una sentenza politica?
Onestamente non ho gli strumenti giuridici per dire se si tratti di una sentenza "politica" ma so per certo che una notizia di questo genere non avremmo dovuto leggerla in quel mondo ideale in cui le persone fossero responsabili delle proprie azioni e opinioni.
I motivi che hanno portato ad accogliere il ricorso sono vari. Uno di opportunità, in quanto – secondo il giudizio dei giudici del Tar – la Asl avrebbe dovuto valutare la possibilità di riconoscere alla struttura una deroga giustificata dal fatto che essa è destinata a «rifugio per animali in difficoltà» e, pertanto, portatrice di un «elevato valore culturale o educativo». «Pur tenuto conto della finalità perseguita con l'abbattimento preventivo in zona soggetta a restrizione, evidente espressione del principio di precauzione, – prosegue il dispositivo della sentenza – deve, tuttavia, essere assicurato da parte dell'amministrazione il compimento di un giudizio di proporzionalità tra il fine perseguito e il mezzo impiegato (la soppressione della vita dell'animale) che tenga in adeguata considerazione le peculiarità del caso concreto».
In punta di diritto, il giudizio si è potuto appellare al fatto che gli animali ospitati dalla Sfattoria e censiti dalla Asl sono microchippati e registrati come animali non destinati a uso alimentare (dpa) che – in quanto tali – sono esclusi dall'abbattimento anche in zona di restrizione.
Per di più, prosegue, che il «ritrovamento di un suino allevato affetto da Psa si sia verificato in un allevamento situato nelle vicinanze del luogo di ritrovamento di un cinghiale infetto nell'area urbana del Comune di Roma non può assumere valenza dirimente ai fini dell'adozione dell'ordine di abbattimento anche per i suidi detenuti nella struttura della ricorrente, in mancanza di una valutazione in concreto della posizione della struttura della ricorrente anche con riferimento alle misure di biosicurezza adottabili ai fini della prevenzione del suddetto rischio». L'Asl, quindi, avrebbe dovuto svolgere accertamenti in tema di biosicurezza e non l'ha fatto.
Un pericolo per le attività economiche e la biodiversità
Non si può fare a meno di registrare come questa sentenza rappresenti un pericolo che potrebbe vanificare il lavoro fatto per evitare la diffusione del virus: 130 cinghiali costituiscono un rischio di focolaio potenzialmente elevatissimo. Il pur duro principio generale che prevede l'abbattimento è stato messo in discussione, creando una falla in un sistema che dovrebbe salvaguardare la comunità, l'economia e l'ambiente.
Accanto a queste osservazioni si impone una riflessione di carattere generale sull'evoluzione del rapporto tra uomo e animale. Un rapporto ormai totalmente stravolto dall'influsso dell'ideologia animalista che, purtroppo, pervade ampie fasce della popolazione.
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