Il francolino nero, specie appartenente all’ordine dei galliformi, è ormai estinto nel Mediterraneo occidentale ma è stato a lungo presente anche in Italia. Fotografia scattata in Azerbaijan
Il francolino nero, specie appartenente all’ordine dei galliformi, è ormai estinto nel Mediterraneo occidentale ma è stato a lungo presente anche in Italia. Fotografia scattata in Azerbaijan - © Elshad photo
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di Diana & Wilde

Il “francolino degli italiani”: una storia affascinante da ricostruire

Galliforme ormai estinto in Italia, il francolino nero ha una storia che in Italia data all'epoca romana. Nel Novecento è stato oggetto di reintroduzione in Toscana

di Giuliano Milana

Sfogliando vecchie riviste ormai ingiallite mi sono imbattuto in un’immagine che ha subito catturato la mia attenzione. Anno 1965, in un riquadro bianco e nero, campeggia la pubblicità di un’azienda Riserva fauno-forestale di Miemo, in Toscana; nella réclame vengono illustrati gli animali che è possibile cacciare al suo interno; fin qui nulla di strano, direte voi, ma ad attrarre la mia attenzione è proprio una delle specie proposte: il francolino degli italiani. Nome che non avevo mai trovato associato alla specie effettivamente ritratta nella stampa.

Rappresentato con quella dovizia di particolari, seppur con il solo colore nero e con lo stile tipico del periodo, vi era in realtà il francolino nero (Francolinus francolinus), una specie appartenente all’ordine dei galliformi, ormai estinto nel Mediterraneo occidentale. La sottospecie nominale F. f. francolinus (Linnaeus, 1766) è diffusa in Turchia sul Caspio, nel Caucaso, in Siria del sud, Israele e Cipro. È importante precisare subito che questa specie non va assolutamente confusa con il francolino di monte (Bonasa bonasia). Stimolato dalla curiosità e dalla voglia di approfondire la mia conoscenza sulla specie, in particolare sulla sua effettiva presenza storica sul territorio italiano, ho trovato diversi articoli interessanti.

La ricerca dell'autore prende le mosse da una curiosa pubblicità scoperta su una rivista venatoria degli anni Sessanta del Novecento
La ricerca dell'autore prende le mosse da una curiosa pubblicità scoperta su una rivista venatoria degli anni Sessanta del Novecento - © Giuliano Milana

“Carni d'esquisito sapore”

In un primo lavoro pubblicato sulla Rivista italiana di ornitologia del 2014, a firma di Aldo Oriani, dal titolo Dati storici sulla presenza circummediterranea del francolino nero Francolinus francolinus francolinus (Linnaeus, 1766), viene ricostruita la storia e la distribuzione proprio della sottospecie nominale, il tutto con estrema dovizia di particolari. Da questo articolo emerge che la specie era ben nota già agli antichi greci, che non disdegnavano affatto la pratica della caccia agli uccelli e soprattutto ne apprezzavano le carni. I romani identificarono il francolino col termine greco latinizzato attagen ionius e con questo termine è citato, per la squisitezza delle carni, da Orazio nel I secolo a.C., e da Marziale nel I d.C.

Anche in tempi più recenti se ne celebra la bontà delle carni: “Sono d'esquisito sapore, sono anco, oltre l'esquisitezza del sapore, buoni per la sanità, giudicandosi le sue carni molta proposito per quelli che hanno lo stommaco debole o patiscano di Renella, o pietra”; “la carne di questo volatile è apprezzatissima e dagli antichi ancora stimatissima, a motivo di essere facilissima a digerirsi, di molto nutrimento e di ottimo sapore” scrivono rispettivamente G. P. Olina nel 1622 e S. Manetti nel 1771. Infine il Benoit, nel 1840, nella sua Ornitologia siciliana: “attesa la squisitezza della sua carne, la ricerca della stessa...”.

Allevamento a scopo alimentare e venatorio

In ambito romano il francolino veniva esclusivamente allevato a scopo alimentare e, dato che la caccia non era considerata un’attività nobile ma concepita unicamente come impegno servile, mancavano i presupposti perché si procedesse a una sua introduzione ai fini venatori. Nello stesso periodo non era invece presente in Sicilia; infatti, nonostante l’isola fosse stata conquistata circa un secolo prima della Grecia, la specie non è menzionata nei testi latini coevi. Nel medioevo il francolino, assieme ai fagiani e alle pernici, era una dell eprede d’eccellenza dell’astoreria, la caccia di “volo basso” con l’uso degli Accipitridi. La falconeria in senso lato, compresa quella di “volo alto” con l’utilizzo di falconidi, era una prerogativa della nobiltà e forse questo fu il presupposto dell’introduzione della specie nei regni cristiani del Mediterraneo centro-occidentale. Di fatto Federico II di Svevia (1194-1250) conosceva bene il francolino nero e lo cita più volte nel suo trattato sulla falconeria, De arte venandi cum avibus, fornendoci anche la più antica testimonianza documentata per la Sicilia.

La specie oggetto di questa ricerca non va confusa con il francolino di monte
La specie oggetto di questa ricerca non va confusa con il francolino di monte - © Michael Haeckel

Specie rara già nell'Ottocento...

A quanto pare, poi, tutte le popolazioni di francolini introdotte e naturalizzate in Italia continentale nel periodo tardo-medievale sarebbero proprio originate dalla popolazione siciliana. Vengono riportate indicazioni di presenza della specie a Roma, nel napoletano, in Calabria, in Toscana e in Lombardia. Con il passare del tempo le popolazioni si rarefanno e, a inizio ‘800, la specie viene considerata rara. In Toscana era praticamente estinto quando Paolo Savi pubblicava la sua Ornitologia Toscana, stampata nel 1829, nella quale scriveva “ora però la loro razza o è spenta affatto in Toscana, o vi è diventata rarissima, giacché in questi anni ne’ quali mi sono occupato d’uccelli, non so che giammai alcuno sia stato ucciso”.

Si ha notizia di un francolino abbattuto nel 1889 al confine con la Toscana a 30 chilometri dal Monte Soratte e forse qualche rarissimo esemplare doveva essere rimasto anche in epoca più recente, stando a quanto ha scritto Vincenzo Chianini nel suo libro L'Arno e i cacciatori romantici: “gli ultimi Francolini rimasti nel Volterrano erano rarissimi e talmente spauriti che non era possibile arrivar loro a tiro, neppure gattonandoli senza cane. Io ne uccisi uno cacciando una mattina, solo, nelle piagge che circondano i Ghiacci Vecchi e Cedri”. Nel 1869, presso Terranova, fu ucciso l'ultimo esemplare della Sicilia. Gli ultimi due nella Calabria sarebbero stati uccisi nel 1857 a Gerace (Baldacci 1964).

… ma non in Sicilia

Nel 1820 sempre il Savi scriveva che i francolini vivevano e si trovavano assai comunemente in Sicilia. Nel 1840 il Benoit affermava che il francolino viveva nelle parti meridionali della Sicilia, e propriamente nelle pianure che si estendevano tra Caltagirone e Terranova, ma aggiungeva: “...attesa la squisitezza della carne, la ricerca della stessa e l'abuso della caccia che si esercita in tutti i tempi ed in tutte le stagioni, diviene questo uccello di giorno in giorno più raro”. E pochi anni dopo l'Hillyer Giglioli: “a cagione della sua bellezza e della squisitezza delle sue carni, il francolino era molto ricercato; gli si dava caccia accanita e se ne uccideva in buon numero. Verso gli anni 1844 e '45 trovandomi per qualche tempo nel Castello Falconara non vi era giorno che i campieri di quella Baronia non ce ne portassero uccisi parecchi. Io ne ebbi ad uccidere molti. Credo che non vi fosse una legge che ne vietava la caccia al tempo della cova, o se vi era, non veniva osservata, come non si osserva adesso in alcuni paesi. In quell'ultima epoca (credo sia stato nel 1847) un giorno del mese di maggio mi trovava a far seminare a cotone un pezzo di terra che io tenea a gabella a Desusino. In mezzo ai seminati di frumento che si avvicinavano a maturazione, da ogni punto si sentivano cantare Francolini in gran numero”. Dieci anni dopo, Lord Lilford, nel corso di una accurata inchiesta nei luoghi nei quali il francolino anni prima viveva numeroso, poté rintracciare soltanto qualche esemplare impagliato (Baldacci 1964).

Il francolino degli italiani: le reintroduzioni novecentesche

Nel Novecento in Toscana si effettuarono alcune reintroduzioni:

- nel 1932 a Coiano, presso Castelfiorentino (FI), ci fu un primo tentativo che fallì in quanto, nella primavera successiva, i francolini non nidificarono. Nel 1961 venne sperimentata la riproduzione del francolino anche a Capalbio e al Circeo e si tentò l’introduzione nell’area, all’epoca proprietà dei principi Odescalchi, che poi diventerà l’Oasi di Palo Laziale;

- tra il maggio 1960 e l’aprile 1961 sempre in Toscana, precisamente a Miemo presso Volterra (PI), venne effettuato il lancio di 72 coppie di francolini del Nepal occidentale (F. f. asiae Bonaparte, 1856), quindi di fatto una sottospecie differente da quella fino a quel momento più volte reintrodotta/introdotta sul territorio nazionale. Il tentativo ebbe successo e la specie si diffuse nelle zone limitrofe ed è nota addirittura un’osservazione (14/06/2004) riferita ad un maschio in canto che sembra confermare la permanenza della popolazione di Miemo. Proprio in merito a questa reintroduzione del 1960/61, in un altro articolo apparso su Natura e Montagna (Baldacci, 1962) si riportano dettagliatamente tutte le fasi dell’operazione.
Deus ex machina fu il famoso professor Augusto Toschi, allora direttore del laboratorio di Zoologia applicata alla caccia dell’Università di Bologna. L’intervento fu realizzato con animali di cattura provenienti dal Nepal e quindi, come già detto, appartenenti alla sottospecie F. f. asiae. I numeri riportati sono leggermente differenti rispetto a quanto scritto da Oriani. Secondo Baldacci, infatti, arrivarono 14 coppie il 14 aprile ed altre 45 il 5 maggio del 1960 ed infine altri 85 individui nel febbraio del 1961. Non si fa però cenno sul perché la scelta ricadde proprio sulla sottospecie del Nepal, se non tra le righe, riferendosi ai contatti che Toschi aveva in India;

- sempre per la Toscana ho ricevuto una segnalazione relativa al periodo tra il 2010 e il 2015 e un’altra relativa invece alla Sicilia. Fino alla fine degli anni '80 pare che nelle colline attorno alla piana di Gela si riuscisse a trovarne ancora qualche esemplare. Non erano oggetto di caccia specialistica ma, condividendo il territorio con conigli e coturnici, non era raro abbatterne qualche esemplare. Venivano chiamati "i pirnici nivure" le pernici nere. L’ultima segnalazione risalirebbe al 1990: “Ricordo perfettamente che nel 1990 in pieno periodo mondiali, accompagnai un paio di volte mio nonno a controllare in un abbeveratoio quante coturnici venissero a bere (cercava il posto migliore per l'apertura) e in entrambe le visite venne un esemplare di francolino sempre prima delle cotorne e andava via al loro sopraggiungere”.

La ricostruzione delle presenze in Italia

In un altro articolo pubblicato sulla rivista Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences) appare un interessantissimo studio nel quale un gruppo internazionale, guidato dagli italiani G. Forcina, M. Guerrini e F. Barbanera dell’Unità di Zoologia-Antropologia del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, indaga proprio sul caso del francolino nero. Gli studiosi di Pisa e i loro colleghi stranieri ricostruiscono “molecolarmente”, attraverso indagini genetiche, la diffusione del Francolinus francolinus.

I ricercatori dell’ateneo pisano evidenziano che “lo studio, iniziato nel 2007 grazie ad una consolidata collaborazione con il Game fund service del Ministero degli Interni di Cipro, si è basato sull’analisi del DNA mitocondriale di circa 300 campioni di francolino, sia moderni che storici (XIII-XX secolo). Questi ultimi appartengono alle collezioni ornitologiche di 15 musei di storia naturale di Europa e Stati Uniti tra cui il museo di Ginevra e quello de La Specola di Firenze, che ha consentito di campionare gli ultimi francolini italiani abbattuti nei pressi di Gela in Sicilia a metà Ottocento”.

Antica stampa che testimonia la presenza della specie in Europa
Antica stampa che testimonia la presenza della specie in Europa - © Edward Neale

Preda ambita di caccia

Le analisi genetiche sono state integrate con una estesa ricerca storica, letteraria e artistica che ha consentito di valutare anche il ruolo svolto dai crociati e dai catalano-aragonesi nell’importare il francolino nero da Cipro alla Sicilia sino alla penisola iberica. I ricercatori pisani dicono che “considerato infatti pregevole selvaggina sin dall’età classica, il francolino nero ha sempre suscitato un notevole interesse in virtù non solo del gusto delicato ma anche delle proprietà curative e perfino afrodisiache attribuite alle sue carni. Il drammaturgo greco Aristofane, l’epigrammista latino Marziale, il poeta Orazio, il filosofo e naturalista Plinio il Vecchio sono alcuni degli autori che lo hanno menzionato nelle loro opere. In seguito, nel Medioevo e nel Rinascimento, è stato preda ambita di caccia, come elegantemente dimostrato dall’affresco seicentesco Il ritrovo dei cacciatori esposto alla Galleria Palatina a Firenze. E non ultimo, nell’ambito della tradizione medica islamica, la digeribilità della sua carne ha fatto sì che fosse incluso tra i cibi particolarmente indicati ai pellegrini diretti alla Mecca”.

F. Barbanera spiega che “la nostra ricerca ha accertato per la prima volta lo status esotico del francolino nero nel Mediterraneo occidentale e ha consentito di tracciare la sua diffusione ad opera dell’uomo attraverso vie commerciali fin da distanti località dell’Asia meridionale ed orientale. Questo lavoro testimonia le potenzialità delle collezioni museali per lo studio della fauna selvatica in termini di evoluzione, ricostruzione degli spostamenti (anche quelli mediati dall’uomo) e risoluzione di problemi in ambito archeozoologico così come l’importanza degli studi genetici al fine di comprendere l’impatto dell’uomo nella ridistribuzione della biodiversità attualmente in corso su scala globale (omogenizzazione biotica)”.

Condizionamenti ambientali

Riassumendo la storia più recente della specie possiamo dire che il francolino, dalle coste mediterranee orientali, venne introdotto in Sicilia e in Spagna intorno alla metà del XIII secolo e successivamente, da queste zone, fu importato in Toscana e, probabilmente, anche in altre Regioni italiane. Le motivazioni di tali operazioni furono essenzialmente di carattere venatorio e, fino a che perdurarono le grandi riserve con le relative norme di tutela della selvaggina, la sopravvivenza e la diffusione del francolino furono garantite. Tra la fine del Settecento e la metà dell’Ottocento, i lfrazionamento dei latifondi e la progressiva bonifica e messa a coltura dei terreni portarono alla rapida scomparsa della specie che, per le sue caratteristiche, non poteva sopravvivere a queste radicali modifiche ambientali. Quelle stesse ragioni, tra metà Ottocento e i primi decenni del Novecento, portarono la specie all’estinzione anche in quasi tutte le pianure costiere del mediterraneo orientale.

La condizione della specie in Italia è quindi controversa, di fatto può considerarsi con le dovute “attenuanti”, come una specie alloctona e per tali ragioni se ne scoraggia la diffusione (Milana 2019). Resta però una storia degna di attenzione, partita dalla rilettura di vecchi libri e riviste che, nonostante l’età, riescono ancora, fortunatamente, a suscitare interesse.

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