di Matteo Brogi
Il Centro di lavorazione di Caccamo: un faro per la caccia del futuro
Le Marche si sono affacciate alla caccia di selezione solo nel 2012 e questo ha permesso la diffusione di pratiche virtuose messe precedentemente a punto in altre Regioni italiane. Il centro di lavorazione della selvaggina di Caccamo condensa molte esperienze in grado di favorire lo sviluppo di una caccia davvero sostenibile
Le esigenze aguzzano l'ingegno. E così è andata nelle Marche dove - fino al 10 luglio 2021 - mancava un Centro di lavorazione della selvaggina "puro" e riconosciuto secondo le norme stabilite dalle direttive europee (in particolare il regolamento 853/2004 sul tema del Game handling establishment). L'affermarsi della caccia di selezione e, soprattutto, del controllo del cinghiale nelle aree dei Parchi ha repentinamente messo a disposizione considerevoli quantitativi di capi che il cacciatore marchigiano ha difficoltà a gestire. La soluzione l'ha trovata Urca locale che - grazie all'impegno del presidente regionale Massimo Iuliano e a quello della sezione di Macerata, Francesco Marchetti - ha voluto, sviluppato e concretizzato un moderno progetto per la gestione corretta delle carni.
Non è stato facile, mi racconta Iuliano: l'approntamento dei locali è stato dispendioso e ha richiesto sei mesi di lavoro volontario e gratuito da parte dei soci. Poco o nulla se si pensa al processo autorizzativo: quasi tre anni e mezzo nei quali Urca Marche si è avvalsa della collaborazione con l'Università La Sapienza di Roma e gli atenei di Urbino e Camerino, con l'Istituto zooprofilattico sperimentale dell'Umbria e delle Marche e Fondazione Una. In un contesto reso complicato da un quadro normativo poco chiaro, una materia poco conosciuta a livello amministrativo, tanti pregiudizi difficili da scalfire e una generale sfiducia di alcuni attori verso la figura del cacciatore. Non è poi mancata neppure una certa resistenza da parte del "partito" dei cacciatori più ostili nei confronti della caccia di selezione, specialmente al cinghiale. Nonostante tutto questo, l'impegno dei volontari di Urca e di alcuni amministratori illuminati ha permesso di completare un progetto che non fatico a definire pilota.
Due esigenze differenti
In quanto Centro di lavorazione della selvaggina, la realtà costituita a Caccamo - nel Comune di Serrapetrona, centro del cratere del terremoto 2016 - risponde a due esigenze ben distinte. Anzitutto, la necessità espressa da molti cacciatori del luogo di un sostegno nel gestire i capi abbattuti. La seconda - quella di maggiore respiro - è di rifornire la filiera alimentare con carni sicure, controllate e certificate. Non un semplice centro di sosta, quindi. Anzi, il Centro fa proprio il concetto One Health, "un modello basato sull'integrazione di discipline diverse che si basa sul riconoscimento che la salute umana, la salute animale e la salute dell'ecosistema siano legate indissolubilmente".
Il cacciatore che si rivolge al Cls di Caccamo ha l'opportunità di usufruire di un servizio di prima classe. Conferito il selvatico, sa che verrà eviscerato da personale formato e successivamente frollato in una cella frigo adeguata. Nel frattempo, subirà i controlli veterinari che ne garantiscono la salubrità. Al termine del processo potrà ritirarlo in mezzene per l'autoconsumo o la cessione diretta, versando rispettivamente un contributo di 40 o 60 euro (prezzo 2023).
L'opportunità della commercializzazione
In alternativa potrà conferire il capo al Centro per la successiva commercializzazione, a patto che il prelievo sia stato effettuato mediante munizionamento atossico; in questo caso riceverà un contributo economico pari a 2 euro a chilogrammo di carne. Il Centro completerà tutte le pratiche che portano alla vendita mediante un distributore in grado di risolvere quei problemi logistici difficilmente sormontabili se agisse in proprio. Destinatari sono la grande distribuzione, il variegato mondo della ristorazione, macellerie, norcini.
I proventi di questo procedimento vanno a coprire le spese vive del mantenimento del centro, il lavoro dei volontari - per motivi fiscali obbligatoriamente iscritti al libro dei soci di Urca Macerata - e il socio che conferisce. E dove vanno a finire gli utili? Lo chiedo sempre a Iuliano, che mi risponde che «quando realizzeremo dei proventi - per adesso la struttura è in pareggio - saranno destinati al territorio, in forma di interventi ambientali e prevenzione danni da parte della fauna selvatica. Così come stabilito dai protocolli già stipulati e dall'accordo con Coldiretti Marche - Campagna amica». D'altronde Urca è un'associazione di protezione ambientale senza scopo di lucro e non potrebbe essere altrimenti.
Una domanda che supera l'offerta
«C'è più richiesta di quanto si immagini, sicuramente superiore all'offerta attuale», prosegue il presidente di Urca Marche. «Il mercato della ristorazione è stato solo esplorato; attualmente la richiesta mensile si attesta sui 500 chili; è difficile fare previsioni e attualmente puntiamo a stabilizzarci su 15.000 chili di carne di cinghiale / anno». Lavorare con il capriolo e gli altri ungulati è molto più complesso perché i piani di prelievo di Regione Marche non sono sufficienti a soddisfare il mercato e per le limitazioni imposte dalla stagione venatoria.
Il Centro di lavorazione della selvaggina di Caccamo si avvale di locali moderni, forniti di tutti i dispositivi richiesti dalle normative. Agli spazi destinati a eviscerazione e macellazione si affiancano tre celle frigorifere: nella prima vengono portati tutti i sottoprodotti della lavorazione poi smaltiti da parte di una ditta specializzata.
La seconda contiene le carcasse da destinare al consumo in attesa dei controlli veterinari (che vengono eseguiti due volte a settimana) e del completamento della frollatura. Nella stessa cella sono conservati gli organi da sottoporre a ispezione, sia i campioni per l'esame obbligatorio della trichinella nel caso del cinghiale sia quelli richiesti dagli enti con cui collabora il Centro, che li analizzano per verificare lo status della popolazione e altri parametri: le contaminazioni da agenti esterni, la carica batterica delle mezzene nelle varie fasi di processazione, tubercolosi (endemica nelle province di Ancona e Macerata), epatite E, salmonella, yersinia, parassiti gastrointestinali e presenza di piombo. Il Centro diventa quindi una fondamentale risorsa anche per quegli studi che potrebbero, nel futuro, dare indicazioni migliorative alla gestione degli ungulati nella nostra nazione.
L'ultima cella è destinata al prodotto finito in attesa del ritiro da parte del cacciatore o del distributore.
Iniziative virtuose
Attualmente la struttura di Caccamo è riservata ai circa 200 soci di Urca Macerata ma sta diventando un faro per definire la gestione del selvatico dopo lo sparo e sviluppare quei progetti di filiera su cui poggia la caccia del futuro. In questo, la realtà marchigiana ha saputo trarre profitto dall'esperienza delle Regioni che sono approdate prima alla selezione. «Abbiamo cercato di prendere il meglio da tutti e di replicarlo», aggiunge Iuliano. Ma non basta. Quest'anno Urca Marche ha saputo dare uno spunto all'iniziativa Bosco in tavola, avviata nel 2022, coinvolgendo 36 classi degli Istituti alberghieri marchigiani. Trentasei classi che si cimenteranno in preparazioni gastronomiche a base di carni selvatiche e potranno in futuro dare valore alla selvaggina in tavola, quindi alla caccia.
Se sei interessato alla caccia sostenibile e alla conservazione dell'ambiente e della fauna selvatica, segui la pagina Facebook e l'account Instagram di Hunting Log, la rivista del cacciatore responsabile.