di Matteo Brogi
I tanti pregi delle carni selvatiche
Più proteine e meno grassi, soprattutto i dannosi grassi saturi. E poi vitamine, minerali, aminoacidi essenziali e antiossidanti... le carni di selvaggina sono un concentrato di qualità che dobbiamo conoscere per valorizzarle
Quando si parla di carni selvatiche, è facile doversi confrontare con il pregiudizio di chi è stato introdotto a questa nobile forma di proteine in tempi in cui non era ancora diffuso un movimento di valorizzazione delle proprietà organolettiche che sono loro proprie. Carni non frollate o frollate male, macellate peggio e mescolate senza tanti riguardi per i tagli e le loro peculiarità. Basta pensare alle sportine che vengono distribuite al termine delle braccate per capire quanto le cattive pratiche di gestione di questa risorsa siano, purtroppo, ancora diffuse.
Il maledetto gusto... di selvatico
Il pregiudizio nasce da qui, dalla necessità di amalgamare tagli tra loro differenti e/o coprire caratteristiche sgradite: dal gusto di "selvatico" dato dalla mancanza di frollatura alla tenacia (eufemismo per durezza) delle carni non trattate correttamente oppure ottenute con modalità venatorie poco rispettose del benessere del selvatico. Di nuovo, è difficile non pensare alla braccata, quella gestita male.
Sono condizioni che, come scrive Roberto Viganò, veterinario dello Studio AlpVet e responsabile scientifico del progetto Filiera Eco-Alimentare dell'Associazione per lo Sviluppo della Cultura degli Studi Universitari e della Ricerca nel Verbano-Cusio-Ossola, "influenzano la concentrazione di glicogeno nella massa muscolare impedendo un veloce e rapido abbassamento del pH delle carni così da renderle dure, dal sapore forte, decisamente inadatte a preparazioni gastronomiche di pregio". E allora giù di marinature per coprire i difetti e lunghe cotture che, anziché ammorbidire le fibre, le rendono stoppose.
Il vento è cambiato
Anche grazie all'avvento della caccia di selezione e a una conseguente superiore formazione dei cacciatori, i più attenti alla valorizzazione della risorsa selvaggina hanno capito che si può fare di meglio. Con loro l'hanno intuito anche molti cuochi di primo piano; precursore di questa rinnovata attenzione è stato Igles Corelli ma anche Gianfranco Vissani, decano della gastronomia di alto livello in Italia, cui avevo affidato la rubrica Il Decamerone su Cacciare a Palla (2018-2019), non ha fatto mancare la sua voce.
E l'hanno capito anche molti giovani cuochi, come i fratelli Vergine (Ristorante Grow, Monza), Edoardo Tilli (Trattoria Belvedere, Pontassieve - Firenze) e i fratelli Catania (Ristorante Brado, Roma) cui Hunting Log ha dedicato altrettanti articoli. Il loro lavoro sta nobilitando una risorsa che ha grandi pregi e che, se pure non può porsi come alternativa alla carne d'allevamento per le evidenti limitazioni nella quantità disponibile, di questa è superiore.
A monte dello sforzo creativo dei migliori rappresentanti della gastronomia nazionale, ma non solo, c'è un robusto sostegno fornito da studi scientifici che confermano la qualità delle carni nere (di selvaggina, secondo una terminologia comune) rispetto a quelle rosse (di allevamento). Hanno iniziato a divulgarlo anche le pubblicazioni generaliste, che stanno favorendo il cambio della percezione cosiddetta collettiva. Segnalo due articoli pubblicati dal Gambero Rosso. Il primo, del febbraio 2021, a firma di Martina Liverani, ha aperto la strada: Selvaggina. La carne del futuro. A ottobre 2022 è toccato invece a Stefano Polacchi riportare la virtuosa esperienza di Le carni del bosco Sant'Uberto, a Monterenzio (Bologna).
I grassi, il nostro nemico
L'opulenta società occidentale sembra fare di tutto per annientarsi. Lo fa a livello etico, filosofico, morale, politico ma pure alimentare. Diete non bilanciate e scorrette sono responsabili di molte malattie tipiche del nostro benessere. Tra gli elementi che maggiormente concorrono a minare la nostra salute ci sono i grassi, specialmente quelli saturi, di cui la carne è per la maggior parte delle persone la principale fonte. L'OMS raccomanda che l'apporto giornaliero di grassi sia inferiore al 30% dell'energia totale assunta, con un massimo del 10% di grassi saturi. Spesso questi limiti non vengono rispettati, con tutto quello che ne consegue.
È necessaria una premessa. La carne ha un elevato contenuto di proteine nobili e altri nutrienti fondamentali come ferro e vitamine. È di supporto nei pazienti carenti di ferro e per chi svolge una intensa attività fisica, è indispensabile alla crescita dei bambini e utile al sostegno dei tessuti negli anziani. È però documentato che un consumo eccessivo può indurre malattie cardiovascolari, gotta e osteoporosi così come tumori del colon retto e dello stomaco. Questo vale soprattutto per le cosiddette carni rosse, che peraltro sono ricavate da animali da allevamento, soggetti allo stress della condivisione di spazi spesso angusti e alimentati con mangimi e farine di dubbia provenienza. Non sempre, sia chiaro, ma la qualità costa e non tutti sono disponibili a pagare questo prezzo.
I pregi delle carni selvatiche
Le carni selvatiche sono completamente diverse. Derivano infatti da animali con un areale molto ampio che induce lo sviluppo di un apparato muscolare magro, altamente ossigenato. È questo il motivo per cui sono definite nere, in quanto ricche di ferro, elemento essenziale per legare l'ossigeno indispensabile a nutrire la muscolatura, e molto vascolarizzate. Ebbene, tutto questo fa sì che contengano tra il 50 e l'80% di grassi in meno delle carni rosse.
L'alimentazione varia, oltre a favorire lo sviluppo di sapori e profumi legati al contesto di vita del selvatico, favorisce il contenuto di proteine, vitamine, minerali, aminoacidi essenziali e antiossidanti, in particolare ferro, zinco e acidi grassi polinsaturi Omega 3, con ridotta presenza dei precursori pro-infiammatori (gli acidi grassi polinsaturi Omega 6). Bassi sono i livelli di colesterolo e tutto ciò contribuisce alla riduzione del rischio dell'insorgenza di malattie coronariche. La compattezza delle fibre muscolari e l'assenza di grasso intramuscolare porta effetti benefici che non vanno vanificati in cucina con l'aggiunta di altri grassi animali.
Il corretto fabbisogno nutrizionale
Per effettuare un confronto su basi scientifiche è possibile fare riferimento al Livello di assunzione di riferimento dei nutrienti così come indicato dall'Autorità Europea per la sicurezza alimentare (EFSA). La quantità di ciascun nutriente necessario per mantenere un individuo in salute è il fabbisogno di nutrienti e varia a seconda del sesso, dell'età, dell'attività fisica svolta, del patrimonio genetico e dello stato fisiologico. Si possono però indicare dei limiti ragionevolmente validi per la maggior parte delle persone, oltrepassati i quali gli effetti dei nutrienti sull'organismo possono essere dannosi. In questo, il tema dei grassi (totali e saturi) è centrale: con il suo basso contenuto dei primi (non più del 3%) e dei saturi (1,5% e non oltre il 10% dell'apporto energetico complessivo) la carne di selvaggina rientra tra gli alimenti virtuosi.
Questo è il confronto dei dati relativi ai grassi presenti negli animali selvatici e in quelli d'allevamento:
Cinghiale 2,3 g
Maiale 10,5 g
Cervo 1,9 g
Capriolo 1,4 g
Manzo 11,3 g
Nota: La tabella mette a confronto i valori forniti dal Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti, Servizio di Ricerca Agricola e ricavati dal sito della Franchi Food Academy con quelli raccolti in Provincia di Bergamo nel 2017-2018 nell'ambito del progetto "Selvatici e buoni" di Fondazione UNA.
A questi risultati è giunto, tra gli altri, lo studio Quality parameters of hunted game meat: Sensory analysis and pH monitoring uscito su Italian journal of food safety (2019) a firma dello stesso Viganò e altri. La ricerca conferma che per tutti i selvatici i livelli di grassi e il contenuto proteico fanno preferire le carni selvatiche a quelle provenienti da allevamento.
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