di Matteo Brogi
I principi della caccia moderna: il resoconto del convegno
I principi della caccia moderna: responsabilità, sostenibilità e conservazione. Questo è il titolo del convegno che Hunting Log ha coordinato lo scorso 14 maggio in occasione della decima edizione di Caccia Village
Del futuro della caccia si parla con preoccupazione ormai da decenni. Dalla promulgazione della 157/92 è cambiato il mondo. In trent'anni – perché sì, abbiamo da poco celebrato l'anniversario tondo della legge quadro – sono occorsi cambiamenti epocali e altri ancor più sostanziali sono attesi. Sono mutati l'ambiente e la società e, in particolare, la sfida per dare all'attività venatoria un futuro è sempre più ardua. Senza speranze se ci affidiamo ai vecchi schemi di comunicazione. Cambiando prospettiva, però, possiamo ancora farcela.
Partiamo da un caposaldo: la caccia è un'attività normata, quindi legittima, sia a livello nazionale sia europeo. È però compromessa da un'immagine vecchia, che si porta addosso le responsabilità di chi – cacciatori o Associazioni venatorie – non ha saputo comunicare una visione positiva. Ancora oggi, purtroppo, prevalgono interessi particolari, divisione, protagonismi e una visione rapace, predatoria dell'esercizio venatorio. Franco Perco, pioniere della gestione venatoria e al cui pensiero non possiamo non essere debitori, ricordava sempre che la caccia sostenibile si deve fondare su scienza, conoscenza e coscienza. Io aggiungo che, fatti propri questi principi, il cacciatore moderno ne deve aggiungerne un quarto: il proprio coinvolgimento personale nelle pratiche di gestione.
Il convegno
A Caccia village se ne è parlato con Renata Briano, presidente del comitato scientifico di Fondazione Una, Giovanni Giuliani, zoologo e tecnico faunistico, e Silvano Toso, ex direttore generale dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica e figura di riferimento della caccia conservativa e gestionale in Italia. I relatori hanno portato contributi e visioni differenti al confronto: Toso ha analizzato la situazione relativa ai modelli gestionali di tutta Europa, indicando una serie di valori su cui ipotizzare una crescita di responsabilità del cacciatore italiano; la Briano ha riportato l'esperienza di Fondazione Una, oggi una delle poche realtà in grado di riunire attorno a un medesimo tavolo personalità e interessi potenzialmente antagonisti per creare una sintesi in grado di rivalutare la funzione delle caccia; Giuliani, infine, da "medico di campagna" quale si è definito in virtù del suo quotidiano confronto con la dura realtà, ha dato una scossa spronando tutti a un salto di qualità, sia nei comportamenti sia nella comunicazione della caccia.
Un impegno trasversale
«Fondazione Una – ha esordito Renata Briano – nasce per dare un'applicazione concreta al titolo del convegno». Fondazione ambientalista in ottica ecosistemica, che quindi collega la natura, l'ambiente e l'uomo, «La Fondazione lavora per dare un'immagine diversa della caccia e di quanto le ruota intorno, parlando anche a mondi diversi (ambientalista, agricolo, scientifico e accademico), ed eliminare i principali ostacoli nella comunicazione del ruolo del cacciatore».
Fondazione Una viene fondata nel 2015 e si ispira ai principi della caccia moderna, quella europea. Dal punto di vista ambientale, nota la Briano, l'Ue è all'avanguardia e la biodiversità è un tema fondamentale su cui l'Unione ha lavorato molto indicando, tra l'altro, una serie di comportamenti che la mettono a rischio: tra questi non c'è la caccia.
La caccia moderna è regolamentata da leggi che si basano sul dato scientifico, quindi è sostenibile. Le attività responsabili della perdita di biodiversità sono altre: chi si schiera contro la caccia lo ignora perché ha spesso una visione cittadina e non rurale.
La Fondazione porta avanti una serie di progetti per ristabilire la realtà delle cose:
- anzitutto che i cacciatori sono i veri paladini del territorio;
- la necessità di un'opera di sensibilizzazione contro il bracconaggio (spesso c'è confusione tra questi due temi e i cacciatori e le loro Associazioni rappresentative devono schierarsi contro, senza tentennamenti): frutto di questo travaglio è #biodiversitàinvolo che la Fondazione sta conducendo con Federparchi nei Parchi nazionali italiani;
- Futura digital race, una manifestazione che si tiene a Brescia e punta al coinvolgimento degli studenti di ogni ordine e grado nella. Parlare con i giovani e con coloro che fanno tendenza è importante: il confronto genera dubbi e talvolta è in grado di stravolgere le opinioni anche di mondi lontani dal nostro;
- Selvatici e buoni, una sperimentazione partita in Lombardia per valorizzare la filiera selvatica;
- con Coldiretti è inoltre stato attivato un programma sul recupero dei borghi e della ristorazione nell'entroterra. La caccia, se fatta bene, è economia per i nostri territori e può essere motore per lo sviluppo.
Un'esperienza trasversale, insomma, il cui scopo è quello di superare le mura di quel fortino in cui si sentiamo confinati e assediati.
Europa, tra buone pratiche e falsi miti
Al convegno, Silvano Toso ha portato il suo sguardo sulla realtà europea. Se pure «Da decenni ormai la caccia in Italia è condizionata dalle normative europee, diversi aspetti dello spirito che ha informato le direttive comunitarie stenta a essere conosciuto e compreso. La percezione che il cacciatore medio ha della caccia in altre nazioni è lontana dalla realtà e fa spesso riferimento a miti infondati».
In Europa sono presenti importanti culture venatorie: la grande tradizione di gestione ungulati mitteleuropea, l'approccio pragmatico della Scandinavia, la tradizione alla piccola stanziale nel Regno unito, la grande cultura della caccia con i cani da seguita in Francia, le tradizioni venatorie più tipiche in Italia (si pensi alla caccia in botte agli acquatici) hanno molti elementi di originalità: «Se ne possono apprezzare tutti gli elementi validi purché mirino a una caccia conservativa e sostenibile, la sola che può avere un futuro».
Lo spirito della normativa europea parte dal presupposto che ci sia ancora posto per la caccia a precise condizioni tecniche e scientifiche: conoscenza delle risorse faunistiche e loro utilizzo programmato, sostenibilità del prelievo, raccolta dei dati e diffusione trasparente dei risultati della gestione venatoria, contributo positivo dei cacciatori alla conservazione degli ambienti naturali e agricoli: «I cacciatori si appropriano di un bene comune e devono dare qualcosa in cambio. E devono dare soprattutto ambiente», sostiene Toso.
La caccia in Europa ha conosciuto tutte le tappe del diritto e si esprime mediante modelli gestionali molto diversi tra loro per caratteristiche climatico-ambientali, faunistiche, storiche, sociali e culturali. Questo ci insegna che, in linea di principio, la caccia sostenibile può essere praticata in regimi giuridici diversi. Quanto ai luoghi comuni da sfatare, Toso evidenza – dati alla mano – come non sia vero che la stagione venatoria all'estero è più estesa e come, soprattutto tra le specie migratorie, l'Italia sia uno tra i paesi che ne insidia il numero maggiore (diciannove). Per quanto riguarda la dimensione media delle unità territoriali di gestione, in Europa è di 3.000 ettari contro i 70.000 dell'Italia. Si tratta di un fattore da tenere in grande considerazione.
Rimanendo sul tema delle specie migratorie, Toso rileva il ritardo nel loro monitoraggio: sono poche le specie coinvolte, pochi i paesi partecipanti e, tra questi, vari hanno standard d'indagine insufficienti; non è attuato inoltre il coordinamento sul monitoraggio stesso, indispensabile premessa per il prelievo conservativo.
Non mancano però gli aspetti positivi: i cacciatori costituiscono una rete di volontariato che porta in dote conoscenza, in grado di intervenire sulle specie opportuniste e aliene, di realizzare consapevoli interventi di miglioramento, che produce carni pregiate, non solo per l'autoconsumo. Insomma, sostiene Toso, «Comportamenti virtuosi e comunicazione intelligente sono le armi per vincere la sfida per la sopravvivenza della caccia nel prossimo futuro».
Necessità di cambiamento
L'intervento di Giovanni Giuliani ha portato una serie di provocazioni, frutto del suo impegno sul campo e del suo confronto quotidiano con la realtà: «Il futuro va raccontato per quello che potrà essere. Altrimenti è solo un romantico esercizio di narrazione. La situazione attuale disegna per la caccia un destino non roseo (per numero di praticanti ed età media). O ci mettiamo intorno a un tavolo con principi completamente differenti altrimenti non so quali siano le sfide che potremo affrontare in futuro: se non c'è una base di fauna umana che mette in pratica le buone pratiche non si può fare molto. La legge 157 sarebbe una legge bellissima che invita tutte le parti sociali alla collaborazione ma il contesto che l'ha ispirata non c'è più».
Manca la base volontaristica che si può effettivamente occupare di gestione, non c'è più la conoscenza ambientale che ha portato all'adozione della legge stessa e nel mezzo sono accadute cose non marginali: l'esplosione demografica degli ungulati, l'aumento delle superfici boschive, l'incremento delle monocolture, i cambiamenti climatici. «Il numero dei cacciatori a breve non sarà più in grado di sostenere il modello attuale». E allora, sostiene Giuliani, oggi «Serve parlare un linguaggio diverso, non ci si può abbandonare al solo ideale romantico del cacciatore come unico difensore del territorio». Si deve essere pronti a investire energie e risorse economiche e umane per sostenere la caccia ma «Non siamo pronti».
E allora Giuliani sostiene che ci vuole rispetto dei ruoli, dei dati (quindi si punta anche nel suo intervento al sostegno del dato scientifico) e una forte responsabilità sociale da parte di tutti. Inclusi gli agricoltori. Ed è «Necessario un salto di maturità» da parte delle Associazioni venatorie e dei cacciatori: «Le norme, che piacciano o meno, si devono accettare. Piuttosto si lavora prima per fornire dati e mediare ma vanno rispettate, non si possono contrastare se si vuole dare un messaggio di responsabilità». Evidentemente è un problema complesso che coinvolge anche il mondo della politica che però, purtroppo, con quello della caccia e le riforme a esso necessarie fatica a confrontarsi.
Un mondo di sfide
Il convegno è stata un'occasione per fare il punto sulla situazione attuale. Il mondo venatorio ha al suo interno – come dimostrano gli interventi – una forte volontà di cambiamento portata però avanti ancora da singole voci, che siano individui o Associazioni. Lo scopo, quello della conservazione della caccia e dell'ambiente è alto e le due cose sono intimamente legate. Però si può e si deve fare di più. Al di là degli aspetti giuridici e normativi, la chiave per avere successo è la responsabilizzazione del cacciatore, che deve assimilare come il suo ruolo è fondamentale nella gestione. Lo aspettano tanti sacrifici, ma l'obiettivo è nobile. Poi, certo, molto deve essere ancora fatto in termini di comunicazione: il ruolo del cacciatore deve essere riconosciuto anche all'esterno del nostro piccolo mondo. Il cammino è lungo e tortuoso ma abbiamo le risorse per percorrerlo e inaugurare una nuova stagione per l'attività venatoria in Italia.
Se sei interessato alla caccia sostenibile e alla conservazione dell'ambiente e della fauna selvatica, segui la pagina Facebook e l'account Instagram di Hunting Log, la rivista del cacciatore responsabile.