di Matteo Brogi
Grandi carnivori? Si possono gestire
L'International journalism symposium organizzato dal Cic ha portato attorno allo stesso tavolo sensibilità differenti sul tema della conservazione e della comunicazione della caccia. Tra i punti affrontati va segnalata la questione dei grandi carnivori. L'esperienza estone insegna che si possono gestire in maniera efficace e rispettosa di tutte le istanze
Lo scorso 8 giugno si è tenuta a Tallinn, capitale dell'Estonia, la sesta edizione dell'International journalism symposium dedicato alla conservazione e all'uso sostenibile delle risorse naturali. Un evento organizzato dal Consiglio internazionale della caccia che da sei anni – in occasione dell'Assemblea generale dell'Associazione – invita a parlare di caccia e conservazione sensibilità giornalistiche molto differenti: con Hunting Log> ero presente in rappresentanza dell'Italia e dell'editoria specializzata. Molto stimolante è risultata la presenza di giornalisti che, invece, con il nostro mondo non hanno niente da condividere pur occupandosi di tematiche ambientali.
L'occasione d'incontro è stata utile per sgombrare il campo da equivoci e pregiudizi che incombono sull'attività venatoria e, al tempo stesso, individuare i punti deboli della nostra comunicazione. L'ulteriore benemerito intento del Cic è di creare una rete con la stampa mainstream, che io preferisco definire generalista in quanto all'aggettivo inglese attribuisco un significato negativo, un pregiudizio, un appiattimento su luoghi comuni che la caccia condannano a priori. Insomma, l'obiettivo resta quello di trovare un terreno di confronto tra cacciatori e ambientalisti (mantenendo viva la distinzione tra questi e gli attivisti dei diritti degli animali, con i quali il rapportarsi resta problematico se non inattuabile).
Una scelta fatta con il cuore
La sede dell'incontro – Tallin in Estonia, poi Riga in Lituania per l'assemblea associativa – è stata fortemente voluta dal consiglio direttivo del Cic per ribadire il proprio appoggio morale al confine orientale del nostro continente, oggi minacciato dall'espansionismo culturale, economico e militare della Russia. Una presa di posizione che l'Associazione ha fatto propria nei primissimi giorni dell'invasione dell'Ucraina, fornendo sostegno alla popolazione locale al confine con la Polonia. Le iniziative sono state numerose e tuttora è attiva una raccolta fondi che intende contribuire alla crisi umanitaria con risposte tangibili e generose.
Il simposio è stato coordinato da Rob Yorke, commentatore britannico di materie ambientali e rurali, e la discussione è stata animata da cinque interventi. Il primo, di Mabrouka Khedir – videogiornalista e reporter tunisina di Deutsche Welle Tv (Dwtv Arabia), TV5 Monde Afrique e Voice of America-Afrique. In Tunisia le tematiche ambientali sono ancora al margine del confronto politico in quanto l'instabilità istituzionale e la relativa povertà della nazione fanno sì che l'attenzione si concentri su argomenti ritenuti più urgenti. Meta di un florido turismo venatorio, la Tunisia è teatro – lo vediamo nella fotografie postate sui social media – di mattanze di uccelli migratori, attentamente monitorati in Europa ma non, evidentemente, nei siti di svernamento; una situazione che rende evidente come la conservazione sia una questione che va affrontata in ottica globale, su scala planetaria. Nonostante alcuni timidi tentativi (come la reintroduzione della Atlas gazelle), in Tunisia l'ambiente è ancora trascurato e corruzione e deforestazione sono temi centrali.
Linci, lupi e orsi
Molto spazio è stato dedicato al tema della convivenza con i grandi carnivori. Sul tema si sono succeduti Peep Mannil, dell'Agenzia estone dell'ambiente, dipartimento della fauna selvatica, (sua la relazione Living with large predators in Estonia) e Helen Arusoo, fondatrice della Round table of Estonian national animal, autrice, giornalista ambientale).
Mannil ha evidenziato come i monitoraggi sui grandi carnivori (lince, lupo e orso) sono realizzati su base annuale con il contributo dei cacciatori (impara, Italia) così che in Estonia sono disponibili stime di popolazione affidabili a partire dal 2003 su Jahis, un database online. Le tre specie sono oggetto di un oculato prelievo gestionale nell'ambito di una stagione di caccia ben definita:
lince (1 dicembre - 29 febbraio);
lupo (1 novembre - 29 febbraio);
orso (1 settembre - 31 ottobre).
L'incremento costante delle popolazioni ha consigliato di incrementare il prelievo secondo il principio della gestione adattiva. La predazione delle tre specie ha ridotto la densità delle specie predate, in particolare del capriolo; al decrescere delle densità, la lince ha reagito concentrando le proprie mire alimentari su altre specie (lepri e roditori) e procedendo a un consumo integrale delle carcasse predate. Il capriolo ha successivamente recuperato e questo rappresenta una fonte di speranza anche per quelle zone del nostro Appennino dove la riduzione si è fatta più sostenuta.
Una questione di reputazione
Helen Arusoo ha invece evidenziato come sia stato necessario ricostruire la reputazione del lupo per favorirne la conservazione e l'accettazione da parte della pubblica opinione. Nei Paesi baltici il predatore è stato sempre rispettato in quanto ritenuto protettore dalle forze maligne. La sua reputazione crollò in era sovietica, quando venne perseguitato per proteggere gli animali "utili" (fauna selvatica e di allevamento). Con il crescere delle densità, dopo l'indipendenza, sono cresciute le occasioni di conflitto ed è stato necessario istituire una campagna informativa per mitigarne gli effetti negativi. Iniziata nel 2013, ha portato nel 2018 a dichiarare il lupo come animale nazionale (lupo si traduce hunt, in lingua estone, parola che curiosamente coincide con la radice del sostantivo "caccia" nella lingua inglese). Questa campagna è stata sostenuta con forza da tutti. Cacciatori, agricoltori e, soprattutto, allevatori. Un'esperienza forse irripetibile ma istruttiva di come la conservazione di una specie debba passare dalla sua accettazione da parte di tutte le categorie e, soprattutto, come sia possibile effettuarla anche tramite una gestione che non esclude il prelievo. Anzi, sostiene la Arusoo, «Per la loro stessa salvezza i lupi devono aver paura dell'uomo». Ecco quindi che la caccia può andare oltre il semplice ruolo di regolazione della popolazione.
John Linnell, ricercatore senior presso il Norwegian institute for nature research, ha evidenziato come il tema della conservazione dei gradi carnivori appartenga più alla categoria del politico in cui si combattono populismi di segno contrario. I media rivestono un importante ruolo nel comunicare e purtroppo, registra, hanno rinunciato all'oggettività. Personalmente la ritengo un'analisi troppo definitiva e preferisco pensare che, tra i miei colleghi mainstream (in questo caso la parola è calzante), ci siano ignoranza, superficialità, pigrizia, paura di sconfinare in zone del dibattito oltre i confini della praticabilità, pregiudizio. Una sorta di codardia imposta dalla dittatura del politicamente corretto, insomma. Questa dannazione comunque coinvolge anche la scienza, in quanto pure gli studiosi non conformi subiscono la condanna della comunità scientifica allineata sulle posizioni ambientaliste più estreme.
Le responsabilità dei cacciatori
Ha concluso la scaletta degli interventi il documentarista venezuelano Marc de Beaufort, collaboratore di Bbc, Channel four, National geographic, Hbo, Antenna 2, Rdf, Sony e Netflix. De Beaufort ha evidenziato come la caccia abbia bisogno di una nuova strategia di comunicazione che prenda atto che:
#1 la caccia, come tutto, evolve;
#2 è necessario capire e interpretare il cambiamento;
#3 un cambio di prospettiva richiede tempo ed energie;
#4 ci sono idee e pregiudizi che non possono essere mutati e bisogna averne consapevolezza.
Questo simposio è risultato uno spazio neutrale di confronto tra realtà molto differenti, un momento di arricchimento per tutti. La domanda resta la solita: è possibile portare una visione radicalmente ambientalista nel mondo della caccia, anche in Italia, oppure è utopia? O, addirittura, caccia e ambientalismo sono attività tra loro alternative?
La risposta è sempre la solita: le opinioni sono importanti – in entrambi i campi – ma i fatti lo sono molto di più. È quindi necessario fare affidamento sulla scienza (ci sono tanti studiosi onesti che vedono nell'esercizio venatorio uno strumento utile nella gestione dell'ambiente) ma bisogna che i nostri comportamenti siano guidati da una integrità di fondo a prova di critica.
Il simposio inoltre conferma che un confronto produttivo tra cacciatori conservazionisti e ambientalisti tout-court è possibile; che molti obiettivi sono comuni. L'esperienza estone, infine, ribadisce che anche un tema controverso come quello dei grandi carnivori può essere affrontato in maniera rispettosa di tutte le sensibilità in campo per l'utilità dell'ambiente. E che, anzi, il tema della conservazione va sottratto a quelle forze politiche che se ne sono indebitamente appropriate.
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