di Matteo Brogi
Franco Perco, la conservazione come missione
Scienza, conoscenza e coscienza sono i principi che hanno guidato l'opera di Franco Perco come accademico e gestore del patrimonio faunistico. Cacciatore gentile, gentiluomo, interlocutore sempre piacevole, dotato di un'ironia finissima, ci ha lasciato gli strumenti per vivere e comunicare la caccia nel modo migliore
Caro Franco, ti ringrazio dell'intervista che mi concedi.
«Sostengo sempre con piacere le iniziative dedicate alla causa della caccia responsabile, lo sai».
Forse sarebbe iniziata così l'intervista che avevo concordato con Franco Perco. Doveva essere il primo articolo pubblicato su Hunting Log, lo scorso 25 marzo. Quando gliela chiesi mi confidò che la salute non l'assisteva. Decidemmo di posticipare. La mente era lucidissima, come sempre è stata, ma il fisico era provato.
Non proseguo questa intervista impossibile, caro Franco. Eri tu l'esperto del genere; non saprei essere all'altezza e avrei timore di fare un torto alla tua memoria. Mi mancherebbe di sicuro l'ironia di cui eri – tra l'altro – maestro. Solo tu sei stato capace di intervistare Francesco Giuseppe I d'Austria. Preferisco raccontarti per come ti ho conosciuto.
La nostra era un'amicizia giovane, che ho ereditato insieme a Cacciare a Palla nel 2015. Tu eri un pioniere della gestione faunistica e venatoria in Italia, io un giornalista che si cimentava in un compito gravoso, quello di fare (o, meglio, di continuare a fare) comunicazione sulla rivista che aveva riformulato i canoni della narrazione venatoria. Impiegammo qualche tempo a capirci ma ci aiutò quella che tu definisti una "sintonia valoriale-etologica". Da quel momento i nostri confronti furono almeno mensili: ogni articolo che mi consegnavi prevedeva una telefonata o almeno uno scambio di e-mail per commentarlo e programmare il successivo. Perché, per te, la comunicazione era una cosa seria. "La gestione faunistica" - scrivevi - "va comunicata bene, per farla condividere dal numero più elevato possibile non solo di fruitori ma anche di semplici interessati. Creare una sensibilità faunistica è un obiettivo nodale". E infatti ti proposi di scrivere anche su Cinghiale che Passione, scandalizzando qualcuno. Ma di lettori non ne perdemmo.
Alcune cose ci dividevano: la simpatia per l'imperatore Francesco Giuseppe, le maiuscole di rispetto quando ti riferivi al Capriolo e alle altre specie (questa "C" è un tributo che ti dedico volentieri), la predilezione per il loden, il primato della lingua tedesca... a questo proposito, discutemmo sul nome di questa testata. Hunting Log, per te, era "un po' troppo albionico" ma condividevi lo spirito dell'impegno, quello "di persone serie, che si confrontano e non fanno crociate" ma vogliono comunque provare a "cambiare il mondo". Almeno il nostro, quello della caccia.
Su certi temi non mi hai mai convinto e ne abbiamo discusso in più occasioni. Era un piacere dissentire perché non perdevi mai la tua innata cordialità e il confronto era sempre un arricchimento. Anche nel dissenso, non mancavi di essere disponibile. Da questa nostra consuetudine, ho imparato tanto di quello che so della caccia di selezione, della caccia in generale. Insieme a mio padre, idealmente, sei stato il mio maestro. Speravo di coinvolgerti in altre iniziative. Appena prima della pandemia avevamo parlato di un convegno sul lupo e la scaletta che mi proponesti è ancora sulla mia scrivania. Chissà se sarò in grado di portare a termine il progetto.
Per scrivere di Franco Perco ho aspettato il trigesimo della sua morte. Non sono bravo con i "coccodrilli", soprattutto se sono emotivamente coinvolto. Franco era un conservazionista vero, amante della natura e della caccia, e sapeva comunicarlo. L'aveva fatto, lo faceva, con il suo impegno accademico, i saggi e con la rubrica Visto dall'altana che curava dal 2017, dai tempi di Cacciare a Palla. Ricordo che per dare un nome a quell'appuntamento ricorrente sulla rivista gli feci alcune propose cui rispose con altre. La sesta era L'Altana, con l'iniziale maiuscola. "Mi convince," scrisse, "è vicina al Padreterno, io ho una certa età e presto (non tanto) volerò in cielo. Vedo le cose dall'alto con un certo distacco anche dovuto all'esperienza, l'altana è il modo meno invasivo e più complice con i segreti della Natura".
La voce di Franco Perco sarebbe ancora utile in una fase in cui il mondo venatorio deve completare la sua trasformazione, per ricordarci sempre, con la sua intransigente gentilezza, il lavoro che dobbiamo fare perché il cacciatore diventi davvero gestore e conservatore. "Con scienza, conoscenza e coscienza", come ripeteva sempre.
Il funerale di Franco è stato un momento emozionante. Spero di poter dire senza mancare di rispetto a nessuno che vi si respirava una grande serenità. Perché Franco è quello che ha fatto e ha dato a chi l'ha conosciuto. Questa certezza e il suo ricordo hanno riempito e riempiranno il vuoto della sua mancanza. Da quel giorno mi piace immaginarlo seduto lassù, sulla sua altana, a coltivare le sue speranze.
Waidmannsruh, Franco.
Se sei interessato alla caccia sostenibile e alla conservazione dell'ambiente e della fauna selvatica, segui la pagina Facebook e l'account Instagram di Hunting Log, la rivista del cacciatore responsabile.