di Matteo Brogi
Filiera selvatica, la proposta di URCA e della Regione Marche
Le Marche si sono affidate alla sezione regionale di URCA - Gestione fauna e ambiente per sviluppare un modello di filiera che potrà essere replicato in altre aree della nazione
La necessità ordinaria di gestione della specie cinghiale e, nello specifico frangente storico, l'obiettivo di depopolamento imposto dalle ordinanze del Commissario straordinario per contrastare i rischi sanitari legati alla diffusione della peste suina africana sono temi che impongono riflessioni e la ricerca di soluzioni. La disponibilità di selvatici prelevati secondo le diverse pratiche venatorie o in regime di controllo è aumentata in maniera esponenziale richiedendo un cambio di passo nella gestione della risorsa e una visione perché la cosiddetta emergenza cinghiale si trasformi in opportunità.
Più teste si sono già applicate alla questione e ne sono emerse proposte e soluzioni, di cui Hunting Log da costantemente notizia. È il caso del manuale operativo redatto da Fondazione UNA sulla scorta di un progetto pilota in Lombardia, per esempio. E lo è a maggior ragione il Progetto di filiera delle carni di selvaggina della Regione Marche, sviluppato da URCA regionale Marche (lo si può scaricare qui) con l'Università Sapienza, l'Università politecnica delle Marche, Coldiretti Marche, AB Agrivenatoria Biodiversitalia e sostenuto - politicamente e finanziariamente - dalla Regione. Un progetto che ha raggiunto la piena fase operativa ed è funzionale alle esigenze di un'area su cui insiste una cospicua popolazione di cinghiali. Se ne è parlato in occasione della presentazione organizzata nella seconda giornata di Caccia Village 2024.
I criteri economici evidenziati già dai fondatori di URCA
Il coinvolgimento di URCA - Gestione fauna e ambiente è motivata dal Manifesto dell'Associazione - modernissimo nonostante abbia ormai 30 anni - che, al punto 3, sostiene:
La caccia come concepita dall' URCA non è [...] uno sport, ma una forma di gestione che risponde ai principi di conservazione della risorsa naturale rinnovabile costituita dalla fauna. L'attività venatoria deve essere attuata secondo criteri economici, sulla base delle più attuali conoscenze scientifiche e con le tecniche più idonee a perseguire gli obiettivi di gestione prefissati, pur seguendo regole altamente ritualizzate dall'etica venatoria.
Il cacciatore al centro del progetto
Questa visione ha fatto sì che la filiera pensata dall'URCA Marche ponga al centro la figura del cacciatore, vero produttore primario, non più solo a parole; in questa visione il cacciatore funge da attore per fornire un prodotto d'eccellenza per mezzo di strutture adeguate sul territorio e controlli igienici e veterinari che garantiscono il consumatore finale. Centrale deve essere la sua formazione - in continuo aggiornamento - perché possa svolgere il ruolo con consapevolezza e responsabilità.
Il riferimento alle conoscenze scientifiche di cui parla il Manifesto URCA è assolto dal continuo confronto con Enti e Università, che hanno aderito e fornito le fondamenta concettuali al progetto; il riferimento ai criteri economici evoca la creazione di posti di lavoro per la gestione della filiera e la creazione di avanzi di gestione da investire nella gestione faunistica (inclusi i risarcimenti) per e sul territorio. Infine, la tutela del consumatore è assolta dall'effettuazione dei controlli - che vanno oltre quelli minimi, leggasi trichinella - grazie alla collaborazione, anche in questo caso, con Istituzioni che hanno a cuore il monitoraggio delle dinamiche di popolazione e del loro stato di salute.
In stretta collaborazione con Regione Marche - che ha finanziato il progetto con oltre un milione di euro - ed enti di ricerca pubblici e privati, è stato pertanto possibile creare un modello gestionale e sanitario che si impernia sul CLS di Caccamo, di cui già si è scritto su Hunting Log, e centri di sosta disseminati sul territorio regionale; il progetto prevede la realizzazione di due CS per ogni Provincia così da garantire l'approvvigionamento del CLS nel rispetto delle rigorose normative che regolano la filiera.
Tutte le strutture esistenti e quelle che verranno realizzate sono progettate per rispondere ai dettami imposti dalle direttive europee (in particolare il regolamento 853/2004 sul tema del Game handling establishment). Punti fondamentali sono il conferimento del selvatico entro 1 ora dall'abbattimento e l'impiego di munizionamento atossico per i capi destinati alla commercializzazione. La piena implementazione di questo sistema porterà allo sviluppo di una filiera commerciale di carni di selvaggina sicura, controllata e legale sotto gli aspetti sanitari e fiscali e permetterà di creare un marchio regionale in grado di sostenere il territorio.
Un'esperienza virtuosa
Il rilievo del progetto elaborato dalla Regione Marche con URCA è stato certificato nel corso della presentazione a Caccia Village dalla presenza di un nutrito parterre istituzionale. Ha inizialmente preso la parola l'assessore di Regione Marche con delega alla caccia Andrea Maria Antonini, che ha esaltato una «gestione soft dell'attività venatoria che coinvolge cacciatori, agricoltori e quegli ambientalisti che perseguono un equilibrio naturale tra uomo/ambiente/animali». Successivamente il Commissario straordinario alla Psa Vincenzo Caputo ha sottolineato la sinergia istituzionale creatasi nella realizzazione del progetto e ha sottolineato come «la filiera debba essere il cardine della gestione per evitare lo spreco del selvatico e, al tempo stesso, il prodotto finale della filiera debba rispondere a criteri di sicurezza perché "sulle malattie non si fanno sconti"».
Massimo Iuliano, presidente di Urca Marche, ha ribadito che alla base del progetto c'è la ricollocazione del cacciatore nel ruolo di produttore primario e come il CLS di Caccamo sia totalmente gestito da cacciatori; «siamo partiti dalla selezione perché la carne è più congeniale al mercato ma nei limiti e nei termini che deciderà il legislatore apriremo le porte del centro ai selvatici prelevati nelle forme di caccia collettiva».
Giuseppe Serafini, dirigente del Settore forestazione e politiche faunistico venatorie della Regione, ha evidenziato come il progetto abbia il merito di «trasformare una problematica in una risorsa in territori che di risorse ne hanno poche. Va contrastato il mercato nascosto, lo scopo è trovare sulle tavole un prodotto sicuro, certificato». Mentre Andrea Spaterna, presidente del Parco nazionale dei Monti Sibillini, ha evidenziato come la gestione della specie sia fondamentale anche all'interno di un'area protetta, dove «si deroga al divieto di abbattimento per il sussistere di danni ai sistemi biologici. Questi danni reiterati producono l'abbandono delle attività agricole tradizionali con effetti negativi a catena su territorio e biodiversità».
La gestione come atto razionale
Giorgio Filipponi, dirigente Prevenzione veterinaria e sicurezza alimentare di Regione Marche, ha applaudito allo sforzo congiunto e alla definizione di un disciplinare ben congegnato con una serie di garanzie in ottica One HEALTH. «La filiera è importante garanzia della tracciabilità ma ha pure un aspetto di valorizzazione delle tradizioni gastronomiche. La Regione ha investito molto e l'ha fatto anche in ottica di valorizzazione e tutela sociale del territorio».
Mirco Carloni, presidente della XIII Commissione Agricoltura della Camera dei deputati, ha voluto pubblicamente ringraziare URCA Marche. «La gestione va fatta con buonsenso, raziocinio e senza emotività», ha dichiarato facendo chiaramente riferimento ai cosiddetti "metodi ecosostenibili" cui poggia la visione dello schieramento cui si contrappone la sua parte politica.
L'esperienza di URCA Marche è stata citata anche nel convegno La carne di selvaggina come risorsa per il territorio: problematiche e prospettive organizzato il giorno successivo da Regione Umbria, che ha riconosciuto la validità del progetto e punterà a rinforzare l'asse appenninico con la regione confinante per costituire un mercato lineare umbro-marchigiano, grazie al brand di filiera.
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