di Matteo Brogi
Diffusione delle armi e criminalità: neppure la caccia è il problema
L'ennesima uccisione di massa avvenuta alla Robb elementary school di Uvalde, Texas, non può lasciarci indifferenti. Ci impressionano la modalità, l'imprevedibilità e le vittime – 19 bambini e due delle loro maestre – colpite mentre erano a scuola
Il fenomeno dei mass shooting è tipicamente americano ma desta sconcerto ovunque e scavalca, nell'analisi, il confine della nazione. Riproponendo in tutta la sua forza il tema della diffusione delle armi tra i civili. E generando un dibattito spesso acceso che trova a contrapporsi due blocchi ideologici, uno dei quali tende a mettere in discussione un diritto (naturale, secondo alcuni) come quello di detenere armi e utilizzarle per gli scopi legalmente consentiti.
Dati e raziocinio
Per non cadere nel tranello della narrazione main stream e di parte, è necessario affrontare il tema dati alla mano. In questo caso ci aiutano quelli forniti da Small arms survey, un (relativamente) indipendente progetto di ricerca condotto dal Graduate institute of international and development studies di Ginevra.
L'istituto, accreditato dal governo svizzero come centro di formazione magistrale e post universitaria, da più di 20 anni elabora analisi sull'impiego delle armi leggere e la violenza armata e le fornisce a governi, istituzioni, politici e ricercatori. Rappresenta, insomma, una fonte autorevole per i decisori.
Dall'ultimo rapporto disponibile si evince che nel mondo circolano oltre un miliardo di armi, l'85% delle quali sono in mani civili; di queste, circa il 46% sono possedute dai cittadini americani (dove sono oltre 120 le armi possedute ogni 100 abitanti): un'analisi che induce molti commentatori ad associare il possesso e la diffusione di armi a fenomeni criminali quali l'attacco alla scuola texana.
Il discorso, a parer mio, è assai più complesso e – se affrontato con tanta superficialità – si fa molto pericoloso anche alle nostre latitudini; l'Italia, per esempio, ha circa sette milioni di armi in circolazione (si tratta di una stima, dati ufficiali non ne esistono) per una diffusione – anch'essa stimata – di 11,9 armi ogni 100 abitanti. Insomma, se ci si dedica solo alla statistica, è facile giudicare e condannare, arrivando alla conclusione che un mondo senza armi sarebbe più sicuro. Un'idea che la storia ha dimostrato più volte essere pura utopia.
Il mondo non è l'America
Per affrontare razionalmente il tema non si può fare a meno di analizzare le profonde differenze tra la realtà statunitense e il resto del mondo. Quello degli omicidi di massa è un fenomeno tendenzialmente americano che risponde a logiche in cui, certo, la facilità di approvvigionamento gioca un ruolo. Ma gli stessi americani sono soliti dire Guns don't kill people, people kill people (tradotto con una certa libertà: non sono le armi a uccidere ma le persone) e questo è quanto mai vero. Come qualsiasi altro oggetto – privo di una propria volontà in quanto tale – pistole, fucili e carabine diventano strumenti positivi o negativi a seconda degli intenti per cui vengono utilizzati. Accanto ai casi criminali, non si possono tacere gli impieghi per la difesa dell'ordine costituito, delle nazioni e degli individui, lo sport e la caccia che, come sappiamo, è un indispensabile elemento di gestione dell'ambiente.
Le preoccupazioni che animano il dibatti che in questi giorni imperversa ovunque sono lecite. Sia da parte di chi le armi non le ama, e vuole sentirsi tutelato dallo Stato nei confronti di chi ne abusa, sia da parte di chi le detiene per collezionismo o per praticare attività legittime. Da parte nostra, che il dibattito tracimi in una volontà repressiva nei confronti della detenzione e che trovi una sponda in Parlamento, a Roma o a Bruxelles, è sempre un rischio.
Un mondo senza armi, come scrivevo, è pura utopia. Così come la pace universale, che esiste solo nei pii desideri degli illusi (e nella discografia dei Beatles). Anzi, il bando al possesso di armi è tipico dei regimi illiberali che necessitano di sudditi deboli. Si pensi oggi alla Cina e alla Corea del Nord, giusto per fare due esempi, dove è vietato ogni possesso individuale se non ai pochi eletti nelle grazie del regime; o alla Germania nazista: «L'errore più folle che potremmo commettere sarebbe quello di lasciare che le razze da noi soggiogate possedessero armi. La storia mostra che tutti i conquistatori che hanno consentito alle razze a loro soggette di portare armi hanno in tal modo approntato la propria caduta». Lo sosteneva un certo Adolf Hitler, uno che di razze e coartazione dei diritti se ne intendeva. Si legga, a questo proposito, l'articolo Nazi firearms law and the disarming of the german jews di Stephen P. Halbrook.
La situazione italiana
A disinnescare parzialmente il tema in Italia ci ha pensato nel 2018 la ricerca Sicurezza e legalità: le armi nelle case degli italiani, condotta dai ricercatori dell'Università La Sapienza che hanno elaborato dati tra il 2007 e il 2017. Ebbene, dallo studio è emerso che "solo" il 5% circa degli omicidi è commesso con armi legalmente detenute e che, di questa porzione, in oltre il 45% dei casi erano presenti delle criticità che avrebbero dovuto consigliare un controllo sul detentore. Per inciso, tra i detentori di armi il numero degli omicidi è più basso del 20% rispetto alla popolazione generale. Dati in qualche modo confortanti, se ne vogliamo trarre una morale.
Si torna quindi agli Stati Uniti. Là, come sappiamo, il diritto al possesso delle armi è sancito addirittura in Costituzione, con un emendamento che fa discutere. La ratio che lo sorregge e ispirò i padri fondatori è quella di dare al cittadino la possibilità di difendersi dalle ingiustizie e di resistere a un eventuale tiranno che prendesse il potere. Poi, certo, ci sono delle interpretazioni estensive che – come europeo – mi lasciano perplesso; è difficile non considerare una contraddizione il fatto che un diciottenne non possa acquistare una birra al bar ma possa acquistare un'arma. Cose che peraltro può fare entrambe in Europa, dove è considerato sufficientemente maturo sia per bere la stessa birra sia per possedere un'arma. È difficilmente accettabile che il background check cui dovrebbe essere sottoposto ogni acquirente abbia maglie tanto larghe da consentire il ripetersi di queste tragedie. Evidentemente ci sono elementi culturali che rendono la società americana molto differente da quella europea e, per certi versi, ben più fragile.
Il compito del legislatore e la caccia
Quanto all'Italia, il tema merita comunque attenzione. Lo Stato deve garantire la sicurezza di tutti, quindi vigilare affinché le armi siano nelle mani giuste e, se per qualche motivo questo giudizio dovesse cambiare successivamente all'acquisto, intervenire in maniera equa e non vessatoria. Nel nostro mondo, invece, fanno notizia i casi estremi, in cui per esempio un cittadino si vede sequestrare a distanza di quaranta anni le armi di cui è in possesso per un illecito nel frattempo sanato. L'equità dell'intervento statale è la chiave per evitare l'illegalità. Le leggi ci sono, basta farle rispettare e sempre con un minimo di buonsenso.
Il cacciatore responsabile, da parte sua, ha tra i propri doveri anche quello di detenere e impiegare le armi in maniera consona. La società deve prendere consapevolezza del suo ruolo di gestore dell'ambiente. Quando saremo riusciti in questo intento, sarà ancora più chiaro perché il divieto del possesso delle armi sia una soluzione che non risolve il problema della criminalità. Ma, semmai, ne produce molti altri.
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