di Matteo Brogi
Comunicare la caccia: le proposte del CIC
Lo scorso 10 giugno si è tenuta la 68ma Assemblea generale del Cic dedicata all'importanza della comunicazione venatoria nel mondo attuale. Un riassunto e qualche spunto per immaginare il futuro della caccia e rinnovare i principi che la animano
L'evento, con il motto Conserve – convene – communicate, è stato un momento fondamentale per l'incontro tra le delegazioni di tutta Europa. Si è tenuto a Riga – Lettonia, dove era stato programmato nel 2020 per poi essere annullato a causa della pandemia.
Il presidente del Consiglio internazionale della caccia, Philipp Harmer, introdotto dal direttore generale Tamás Marghescu, nel corso della cerimonia d'apertura ha sottolineato come sia essenziale per i cacciatori comunicare con il pubblico e informarlo dei servizi che forniscono alla natura e alla società. Kaspars Gerhards, ministro lettone dell'Agricoltura, ha portato il saluto istituzionale da parte del governo, mentre Zoltán Kovács, segretario di Stato ungherese per le comunicazioni e le relazioni internazionali, ha ribadito un concetto: «Se vogliamo che le cose rimangano le stesse, allora le cose non possono rimanere le stesse». Facendo riferimento alla necessità di un uso sostenibile delle risorse naturali, fauna inclusa.
Tre sessioni di confronto
Temi e idee introdotti nel corso della cerimonia sono poi stati esplorati nel corso di tre sessioni tecniche. È impossibile riassumere i singoli interventi e mi limito pertanto a indicare che sono disponibili sul canale Youtube dell'Associazione.
Nel corso della prima sessione sono state condivise le esperienze e le buone pratiche di gestione della fauna nelle Repubbliche baltiche (gli interventi sono accessibili tra 1:50:05 e 2:24:00).
La seconda si è invece focalizzata sull'impiego dei mezzi di comunicazione contemporanei per comunicare al meglio la caccia (4:19:50 – 5:11:00).
L'ultima sessione ha confrontato le strategie impiegate da una varietà di organizzazioni e settori, esplorando come queste possono essere utilizzate per sostenere la conservazione della fauna selvatica (5:11:51 – 5:54:23). A seguire, Rob Yorke ha condiviso con l'assemblea il dibattito che si è svolto nel corso del Simposio giornalistico di Tallin.
Costruire un ecosistema di principi
La caccia, ce lo diciamo sempre, è connaturata alla nostra umanità: è stata un elemento di successo nello sviluppo e nell'evoluzione della specie ma resta un'attività apparentemente primitiva che va raccontata con strumenti moderni. Questa è la sfida che – come comunicatori e cacciatori – ci spetta.
Il messaggio è importante, certo, ma non può prescindere dalla nostra identità di cacciatori e conservazionisti. Perché si possa essere efficaci nel proporre il nostro stile di vita e i nostri valori non possiamo fare a meno di un intero "ecosistema di principi" che ci permetta l'agibilità degli spazi di confronto e sostenga la credibilità del messaggio: quest'ultimo deve essere forte, certo, ma non può fare a meno di adattarsi alle circostanze e ai cambiamenti che sono occorsi negli ultimi decenni. Dobbiamo essere quindi meno "primitivi" e, per essere credibili, dobbiamo dimostrare con i nostri comportamenti un'integrità senza la quale non possiamo sperare di contrastare lo spirito dei tempi.
Contro il colonialismo culturale
Per concludere, mi piace portare come riferimento positivo di comunicazione l'esperienza di Resource Africa, un progetto che sostiene gli sforzi della comunità rurale africana per garantire i diritti di accesso e utilizzo delle risorse naturali per il sostegno delle comunità africane.
Il dibattito su (contro) la caccia ai trofei, portato avanti da numerose campagne in tutto il mondo, pone l'accento su un punto che viene sempre trascurato: il diritto delle comunità africane di partecipare al dibattito su temi che influiscono materialmente sulle loro vite. Molto spesso, invece, i benpensanti occidentali stabiliscono dalle proprie scrivanie quello che è giusto o meno per l'Africa, in una nuova forma di colonialismo culturale che dimentica come dietro a ogni scelta ci sia una comunità, una famiglia, un uomo, una donna, un bambino e il loro avvenire.
Diciamolo pure: noi, come cacciatori, siamo parte interessata a che la caccia sia un'attività praticabile anche in Africa. Ammetterlo è semplice esercizio di onestà intellettuale. In questo caso, però, il nostro interesse coincide con quello delle comunità africane. Lo sostiene, tra gli altri, proprio Resource Africa, secondo la quale la caccia sostenibile fa parte dei diritti inalienabili delle popolazioni africane. «Non mettete il diritto degli animali davanti a quelli degli africani» – ha sottolineato Bupe Banda in rappresentanza del Community leaders network dello Zambia; «La caccia sostiene il nostro autonomo stile di vita». Riconoscerlo, anche in questo caso, è un esercizio di onestà.
Diritti umani e conservazione
Resource Africa ha pubblicato il video Let Africans decide open letter, una dichiarazione scritta da oltre 50 leader di comunità africane e indirizzato alle celebrità britanniche che negli ultimi anni si sono esposte per chiedere lo stop alla cosiddetta trophy hunting. In otto minuti chiede loro di smettere di usare l'indubbia influenza che possiedono: la loro azione mina i diritti umani nel mondo in via di sviluppo e mette a repentaglio la conservazione della fauna selvatica nella regione africana.
Let Africans decide ha ottenuto – meritatamente – il 2022 Cic communication prize. Vale la pena guardarlo integralmente perché il suo messaggio è semplice, diretto, efficace.
Se sei interessato alla caccia sostenibile e alla conservazione dell'ambiente e della fauna selvatica, segui la pagina Facebook e l'account Instagram di Hunting Log, la rivista del cacciatore responsabile.