di Matteo Brogi
Cacciatore, quindi ambientalista
Alcuni anni fa, confidando a un amico giapponese la mia passione per la caccia, mi stupii quando mi definì un ambientalista. Sorrisi, pensando a tutte le sigle che usurpano quell'appellativo e che con la caccia hanno tutto fuorché un rapporto sereno. Mi pareva strano essere accomunato alle manifestazioni esteriori dell'ambientalismo. Eppure... eppure, metabolizzato l'iniziale sgomento, sono arrivato alla conclusione che ambientalista lo sono davvero, così come lo sono i tanti cacciatori che hanno un rapporto leale con la selvaggina e con l'ambiente. Quei cacciatori che hanno la consapevolezza che la conservazione della natura sia un dovere non solo per chi abbia un tornaconto politico, ma soprattutto per chi, e il cacciatore è tra questi, la vive.
Sono abituato a difendere la caccia dagli attacchi dei finti ambientalisti, degli animalisti, dei pavidi che aborrono l'uso delle armi e l'abbattimento del selvatico. Più recentemente, e in più occasioni, mi sono trovato a difendere la caccia dai bracconieri. Persone che sostengono, in un'epoca di proibizionismo venatorio, la legittimità di un bracconaggio "etico".
La nostra civiltà è frutto di un lungo cammino. Ci siamo dati un ordinamento giuridico che, per quanto migliorabile o fallimentare, è la nostra unica difesa dall'anarchia, dal caos. Da un mondo di diritti senza doveri, di soddisfazione del proprio ego a scapito della comunità.
Contro il bracconaggio
Se è facile considerare chi insidia la selvaggina utilizzando mezzucci un vile, chi abbatte un esemplare protetto un barbaro, il cinghialaio che tira al lupo spinto da un ancestrale istinto di conservazione un ignorante, per quei bracconieri sedicenti etici nel nostro mondo si respira tolleranza e, talvolta, un pizzico di ammirazione. Ebbene, se il bracconiere è un criminale, e non solo perché contravviene ad una legge dello Stato, il bracconiere etico non è da meno. Entrambi sono nemici della nostra passione. Perché a fare notizia non sono le centinaia di migliaia di cacciatori responsabili che si sforzano di rendere migliore il nostro ambiente, e non si lamentano se tornano a casa col carniere vuoto, ma i pochi che agiscono solo per soddisfare i propri interessi. Prevaricando gli altri, la natura e mettendo a repentaglio la sopravvivenza stessa della caccia.
Il caso dell'aquila reale abbattuta lo scorso gennaio sulle Grigne, è esemplare. La sua uccisione (una barbarie) ha fatto notizia, per qualche giorno è stata sulla prima pagina dell'edizione digitale de Il Corriere della Sera e ci ha alienato ancor più le simpatie superstiti dell'opinione pubblica.
È fondamentale iniziare una battaglia che ponga il cacciatore nella luce che gli spetta. Dobbiamo insegnare la caccia alle nuove generazioni su basi nuove. Di selvaggina ce n'è poca, ciò che deve animare la nostra passione venatoria non può essere il facile abbattimento, ma qualcosa di più profondo. La caccia fa parte delle nostre tradizioni, della nostra identità, della nostra civiltà. E la civiltà è una sottile connessione tra il presente, le testimonianze del passato e il futuro. Civiltà è un collegamento a tre dimensioni... se uccidiamo la caccia, avremo una tradizione in meno da trasmettere ai nostri figli e contribuiremo alla decadenza dei nostri valori. Per questo non possiamo che essere ambientalisti e dobbiamo condannare ogni tipo di bracconaggio.
Matteo Brogi
Diana Armi, 2007
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