di Matteo Brogi
Caccia, tra etica e morale cristiana
In questo mondo che ama le contrapposizioni radicali ed è sempre alla ricerca di un nemico da combattere, la caccia è capace di catalizzare sentimenti molto forti. Le motivazioni che ci spingono in un bosco con un fucile sono le più disparate. Per un cristiano, ci sono anche quelle di ordine morale
Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo: vi do tutto questo, come già le verdi erbe. Così, nella Genesi (9,3), Dio istruisce Noè. Questo potrebbe bastare a chi si ispira alle Sacre Scritture, magari cercando conferma del proprio operato. Ma chiuderla qui mi pare semplicistico in quanto l'evoluzione del comune sentire porta nuovi dubbi e favorisce interpretazioni differenti dell'Antico Testamento che non possono essere affidate ad altri che a teologi e uomini di Chiesa. Per approfondire si può far ricorso al Catechismo della Chiesa cattolica che, nell'ultima edizione, stabilisce:
- Dio ha consegnato gli animali a colui che egli ha creato a sua immagine. È dunque legittimo servirsi degli animali per provvedere al nutrimento o per confezionare indumenti. Possono essere addomesticati, perché aiutino l'uomo nei suoi lavori e anche a ricrearsi negli svaghi. Le sperimentazioni mediche e scientifiche sugli animali sono pratiche moralmente accettabili, se rimangono entro limiti ragionevoli e contribuiscono a curare o salvare vite umane (2417);
- È contrario alla dignità umana far soffrire inutilmente gli animali e disporre indiscriminatamente della loro vita. È pure indegno dell'uomo spendere per gli animali somme che andrebbero destinate, prioritariamente, a sollevare la miseria degli uomini. Si possono amare gli animali; ma non si devono far oggetto di quell'affetto che è dovuto soltanto alle persone (2418).
Ma quanto espresso dal catechismo potrebbe non essere sufficiente per tutti e, in effetti, anche all'interno della Chiesa si registrano posizioni differenti. Bisogna comunque ricordare che San Giovanni Paolo II, riferendosi agli animali in una udienza generale del 1990, ricordava che alcuni testi ammettono che anche gli animali hanno «un soffio vitale e che l'hanno ricevuto da Dio»; cosa ben diversa, evidentemente, dall'asserire che questi siano stati creati a Sua immagine. Il Papa emerito Benedetto XVI - per chiudere il discorso - nel 2014 ha ricordato comunque che «le altre creature [rispetto all'uomo] non sono chiamate all'eternità». Con questo tracciando una linea apparentemente netta tra l'uomo, i suoi diritti e il suo ruolo nel creato.
Ma sensibilità differenti sono comunque presenti e non possono essere condannate a priori. Porto a esempio l'esperienza personale. Ricordo con affetto don Adolfo che, sull'Appennino bolognese, il sabato abbandonava la talare per andare a caccia con i suoi amici mangiapreti. E ricordo con altrettanto affetto, e ancora un pizzico di dolore, anche padre Paolo, integerrimo francescano, che a Firenze, dopo l'apertura alla terza settimana di settembre, mi accoglieva con un ceffone con la scusa che avevo saltato la Messa parrocchiale. «Non si uccidono gli animali», mi diceva poi. Risolsi la questione frequentando altre funzioni da settembre a gennaio.
Oggi che di uomini di Chiesa a caccia non se ne vedono più - se lo fanno, lo fanno di nascosto - la relazione tra morale cristiana e caccia è quanto mai attuale. Non si tratta banalmente di giustificare un comportamento e la propria passione quanto piuttosto di motivarla, di capire se è compatibile con l'essere cristiani in senso lato, cattolici nel particolare, e di interpretarla correttamente.
Don Markus Moling è sacerdote dal 2006 e professore ordinario di filosofia presso lo Studio teologico accademico di Bressanone dal 2016, dove insegna già dal 2009. È anche autore di un saggio che sviscera il tema caccia dal punto di vista morale, teologico e filosofico, oltre che un appassionato dell'ambiente. «Responsabilità, rispetto e sostenibilità sono tre virtù essenziali di una caccia eticamente giustificabile», scrive. Aggiungendo: «di seguito vorrei menzionare una quarta virtù, la giustizia». Ed è soprattutto su questo aspetto che l'ho intervistato.
Lei rappresenta una delle voci autorevoli della Chiesa cattolica che ha una posizione pubblica favorevole - a certe condizioni - all'esercizio venatorio. Come si è avvicinato ai temi della caccia e dell'etica animale, oggi tanto divisivi?
Non direi che la mia voce è autorevole, ma con il mio pensiero vorrei contribuire al dialogo sul tema dell'etica animale tra cacciatori e tutti quelli che sono interessati in materia. Già da ragazzo osservavo gli animali selvatici con grande interesse. Ancora oggi seguo con passione i galli cedroni nei nostri boschi alpini e partecipo a censimenti da parte dell'ente pubblico. Come professore di filosofia ho pubblicato alcuni testi sull'etica venatoria che sono stati apprezzati dai cacciatori.
Principi come il non ridurre l'animale a solo oggetto per l'uomo o il non far soffrire l'animale sono basali nell'etica animale e devono far parte di una caccia moderna e sostenibile se questa vuole trovare posto nel futuro della nostra società. Inoltre, la promozione della biodiversità, la protezione dell'ambiente e l'impegno per gli habitat degli animali selvatici devono essere inclusi in una pratica venatoria che si lascia descrivere come responsabile. Se mancano questi concetti fondamentali, le critiche verso la caccia aumenteranno ancora di più.
Per affrontare il tema della liceità morale della caccia credo si debba dare risposta a due quesiti. Anzitutto se l'uomo possa disporre liberamente del creato e se ci sia un modo per farlo nel rispetto delle future generazioni. Qual è la sua posizione di uomo di Chiesa?
Ricordo le parole del nostro pontefice che nella sua Enciclica Laudato sì critica un antropocentrismo dispotico e radicale. Un atteggiamento umano verso il creato dominato dallo sfruttamento e seguendo solo gli interessi umani non è più accettabile, non è cristiano; in questo senso non possiamo dire che l'uomo possa disporre liberamente del creato. Seguendo le parole della Genesi 1,28 l'uomo è chiamato a soggiogare e dominare la terra. Questo dominium terrae però viene malinteso se implica l'antropocentrismo dispotico. Nell'enciclica Francesco si esprime in favore di un antropocentrismo moderato o illuminato. Questo vede l'uomo come essere morale dotato di responsabilità anche in confronto degli animali selvatici e di tutto il creato. Se la caccia viene vissuta come un'espressione di responsabilità e non di sfruttamento verso le specie che vengono cacciate, verso i loro ambienti e anche verso le altre persone che usufruiscono dello stesso territorio allora direi che la caccia può far parte di un concetto integrale che unisce la salvaguardia della natura con un uso sostenibile delle sue risorse.
Un tema molto sentito, che coinvolge campi trasversali, è se l'uomo abbia o meno il diritto di dare la morte a un altro essere vivente. Su questo punto l'etica moderna talvolta va in cortocircuito, giustificando pratiche che possono essere definite come eugenetiche e addirittura anteponendo gli interessi dell'animale all'uomo. Come giudica questa contrapposizione: è opportuno ripensare il rapporto con la morte oppure il cacciatore può sentirsi autorizzato al prelievo?
Alcune posizioni dell'etica animale contemporanea sono problematiche riguardo a un'etica umana e devono essere valutate anche sotto questo aspetto. Penso per esempio alla posizione di Peter Singer (fondatore della teoria della liberazione degli animali) che lega il diritto alla vita alla possibilità di attualizzare certe capacità cognitive. Secondo questa visione i cosiddetti marginal cases (feti umani e persone in coma o con demenza molto progrediente) non hanno più questo diritto alla vita perché non riescono ad attualizzare certe capacità. Altre posizioni possono essere chiamate ecologiste e vedono nell'uomo il problema più grande di questo mondo e per questo sono persino favorevoli a una riduzione attiva dell'umanità. Queste tesi non si lasciano introdurre in una visione cristiana dove l'essere umano si trova al centro del mondo creato da Dio e ha l'incarico di custodire tutto il creato. Questo implica che l'uomo non debba agire in modo tale da distruggere o danneggiare l'ambiente. In questi spazi e limiti si devono evolvere anche la caccia e il prelievo.
Dall'altra parte dobbiamo dire che uccidere un animale selvatico che ha degli interessi e che è un soggetto di vita non può mai essere considerato solo come una tecnica venatoria, ma richiede rispetto interiore e consapevolezza da parte del cacciatore.
Il cacciatore che si ispira al messaggio della Chiesa porta a sostegno della sua passione il Catechismo della Chiesa cattolica. Basta questo perché un cacciatore si senta in pace con la propria coscienza o ci sono altre posizioni della chiesa di cui vale la pena tenere conto?
Direi che questo passaggio è molto ricco ed è aperto ai principi di un'etica animale contemporanea. Riguardo alla caccia vorrei accennare già il primo passo del CCC 2417 dove si esplicita che gli animali sono consegnati all'uomo da Dio. Il testo del catechismo fa riferimento al libro della Genesi. Essere immagine di Dio in questo passo significa essere custode del creato come il divino Creatore. Queste parole ricordano l'importanza dell'essere custode nel mondo d'oggi. Un buon custode non ha solo interesse di usufruire delle pecore a lui affidate, ma per primo guarda al loro benessere. Questo è anche il compito dell'uomo riguardo al mondo degli animali. L'animale non deve essere trattato come un puro oggetto, ma come un essere vivente che può soffrire e ha diversi interessi fondamentali che devono essere considerati dal custode umano. Se il cacciatore vuol seguire queste parole il primo compito è quello di essere custode degli animali selvatici e del loro ambiente. Essendo custode poi può anche prelevare animali soprattutto per il nutrimento e seguendo criteri etici ed ecologici. Un buon custode però non è interessato a uccidere specie rare o grandi numeri di animali, di servirsi di metodi di caccia dove l'animale deve soffrire, ma di fare un prelievo moralmente corretto, selezionato e sostenibile.
Come lei evidenzia nel saggio "Etica della caccia" pubblicato nel volume "Etica animale - Una prospettiva cristiana" di Martin M. Lintner, il cacciatore può rispondere in maniera adeguata alle critiche che gli vengono mosse solo riuscendo a dimostrare l'esistenza di argomenti che giustifichino il prelievo di animali selvatici e addirittura ne mostrino la necessità in determinate circostanze. Questo approccio evidentemente nega che la caccia possa essere considerata un mero sport e implica il coinvolgimento del cacciatore in attività di conservazione. Qual è quindi la ratio che definisce la caccia come sostenibile anche da un punto di vista morale e giustifica il prelievo nei confronti dell'opinione pubblica?
Se la caccia viene vista come un'attività sportiva si mette in cattiva luce tutta l'attività venatoria. Tutto il contrario è una caccia che nel settore di madrelingua tedesca viene chiamato Weidgerecht. Questa parola si lascia tradurre difficilmente in italiano, ma ha da fare con giustizia. Ricorda che l'agire del cacciatore ha due dimensioni che devono essere giuste. Una è la dimensione personale. Un cacciatore che vuol essere giusto sul piano personale deve seguire un codice d'onore e avere delle competenze in materia, deve saper sparare bene, deve anche potersi autolimitare nel suo cacciare ed agire. L'altra è la dimensione sistemica e ricorda che la caccia fa parte di un grande sistema di molti agenti con i loro interessi. Tra questi si trovano gli animali selvatici, i cacciatori stessi, ma anche il turismo, l'agricoltura e la silvicoltura, gli ambientalisti e coloro che passano il loro tempo libero nei boschi e nelle pianure. Alla fine, c'è da dire che anche l'ecosistema nella sua integrità deve essere preso in considerazione. Gli animali selvatici con il loro interesse possono entrare in concorrenza con quelli di altri campi del sistema. La caccia e i singoli cacciatori hanno un compito nel contribuire a una compensazione di questi interessi, prelevando animali che possono danneggiare l'ecosistema o diventare un problema per l'agricoltura e la silvicoltura. Ma nello stesso tempo i cacciatori hanno il compito di essere protettori per gli animali selvatici, partecipando a censimenti, impegnandosi per il loro habitat ed evitando che gli animali vengono visti solo come degli esseri che danneggiano i nostri boschi.
Un altro tema al centro del dibattito è quello dei predatori; oggi colonizzano aree dove entrano inevitabilmente in conflitto con le attività umane, con effetti negativi sulla sicurezza e l'economia. La gestione dei singoli casi problematici dovrebbe ragionevolmente risolvere la questione ma l'opinione pubblica tende a identificare nel singolo selvatico un totem da salvaguardare e la specie nella sua interezza. Ne segue sempre un dibattito molto acceso. Qual è a suo avviso un giusto metodo per accontentare tutte le sensibilità?
I grandi predatori lupo e orso hanno bisogno di spazio vitale che possa garantire loro di vivere in zone dove non entrano continuamente conflitto con gli interessi umani. Personalmente sono dell'opinione che si debba valutare singolarmente ogni caso senza condannare la presenza dei grandi predatori a priori e cercando di convivere dove è possibile. Questa valutazione in certi casi può portare anche alla decisione di prelevare un animale se per esempio diventa un pericolo per l'uomo. Purtroppo, se questa possibilità non viene presa in considerazione, aumenta il bracconaggio ed è difficile monitorare le popolazioni. Un monitoraggio serio e rispettabile deve essere alla base di ulteriori decisioni. C'è bisogno di trovare una compensazione tra gli interessi delle persone nel territorio e dei grandi predatori e abbiamo soprattutto bisogno di discussioni meno emozionali e più sobrie.
Tratto da un articolo pubblicato su Caccia Magazine di aprile 2021.
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