di Matteo Brogi
Caccia sostenibile: la selezione e la crisi del capriolo
Quando si parla di sostenibilità del prelievo non ci si può esimere da un confronto laico con la scienza. Alla tavola rotonda di Bastia Umbra si è posta attenzione su quegli aspetti problematici che mettono a rischio la gestione della fauna selvatica e, quindi, la permanenza della caccia. Facendo il punto sulla specie capriolo che versa in uno stato critico tale da metterne in discussione il prelievo
Caccia Village, anche quest'anno, ha catalizzato in Umbria un gran numero di cacciatori dell'Italia centro-meridionale, trasformandosi nell'occasione perfetta per comunicare i principi gestionali che stanno alla base della sostenibilità della caccia.
La caccia di selezione - intesa come strumento di gestione della fauna selvatica - ha un ruolo centrale nella conservazione dell'ambiente. Questa responsabilità impone di osservare con realismo tutte le trasformazioni in atto, dal cambiamento climatico alla presenza dei predatori, dalla contrazione del numero dei praticanti alle dinamiche delle popolazioni degli ungulati. Nel convegno Caccia sostenibile: la caccia di selezione del presente e del futuro se ne è parlato con Roberto Cocchi (responsabile Area pareri tecnici e strategie conservazione e gestione patrimonio faunistico nazionale e mitigazione danni e impatti dell'Ispra), che ha portato la visione dell'Istituto sul concetto di sostenibilità, Giovanni Giuliani (zoologo e tecnico consulente per enti e istituzioni) ed Ettore Zanon (responsabile dell'Accademia ambiente, foreste e fauna del Trentino) che hanno evidenziato rispettivamente le esperienze di Appennino e Alpi.
Che cosa significa prelievo sostenibile
Particolarmente stimolante è stata la presenza istituzionale dell'Ispra, che ha dimostrato - con la sua partecipazione a un convegno organizzato in un contesto spiccatamente venatorio - un approccio molto pragmatico. Cocchi ha concentrato il suo intervento sul tema della perdita di biodiversità, una minaccia su scala globale, per poi definire il concetto di prelievo sostenibile: una caccia che prevede il prelievo di una quota del surplus dei capi prodotto naturalmente, quantificato mediante conteggi standardizzati del tasso d'incremento, determinato da piani di prelievo e assegnazione secondo un piano gestionale ben definito. Un intervento basato sulla rendita, insomma, che non deve intaccare il capitale.
È venuto poi il momento dell'intervento di Giovanni Giuliani, provocato dalla situazione attuale della specie capriolo che, in ampie aree appenniniche, è in sofferenza. È indiscutibile - ha sottolineato Giuliani, forte del sostegno di Silvano Toso che ha contribuito alla sua presentazione - che le densità degli anni Novanta oggi siano solo un piacevole ricordo e che il trend è negativo. Per la prima volta, nella stagione venatoria 2023-2024, nove distretti storici di Urbino non apriranno la caccia a questa specie. Nelle chiacchiere da osteria si addossano tutte le responsabilità alla predazione del lupo ma la situazione è ben più complessa e, per fortuna, molto studiata. Nella sua trattazione, Giuliani fa riferimento allo studio del 2014 di Jean-Michel Gaillard (Mismatch between birth date and vegetation phenology slows the demography of roe deer, di cui si è già scritto qui) che ha messo in relazione le dinamiche di popolazione dell'ungulato con le variazioni meteo-climatiche occorse dal 1975 al 2013; si tratta di un'indagine successivamente replicata da altri, inclusa l'equipe del prof. Apollonio.
I cambiamenti climatici condizionano il capriolo
I cambiamenti climatici, ribadisce Giuliani, sono un dato di fatto e hanno un'influenza molto negativa sulla specie perché il capriolo non riesce ad affrontare nelle sue due più importanti fasi biologiche (parti e riproduzione) il cambiamento di condizioni della fenologia vegetale; le femmine non riescono a far fronte all'anticipo delle primavere: questo porta alla conseguenza che le madri devono confrontarsi con un deficit di risorse energetiche durante la lattazione, i piccoli non hanno risorse trofiche sufficienti e gli adulti in generale - specie i maschi - non riescono ad avere una buona fitness riproduttiva. Quindi, all'incremento della cerealicoltura, alle lavorazioni estese e precoci del terreno, al governo del bosco ceduo, si inseriscono prepotentemente il caldo e l'anticipo delle stagioni legati al riscaldamento globale tra le cause di sofferenza della specie.
La responsabilità del prelievo venatorio
Come se non bastasse, a questa situazione complessa si aggiungono i fattori di mortalità additiva: la predazione (principalmente da parte del cinghiale ma pure del lupo) e - non va dimenticata - la caccia. Se rispetto all'incremento della specie il prelievo è eccessivo, non si può più parlare di mortalità compensativa ma additiva. Questo, secondo Giuliani, è quanto sta accadendo nell'Appennino centro-settentrionale che ormai caccia la specie da 30 anni. Su questo aspetto, il tecnico marchigiano è molto severo e osserva come le Linee guida per la gestione degli ungulati - Cervidi e bovidi redatte da Ispra nel 2013 vengano regolarmente disattese da quelle Regioni che si sono dotate degli Osservatori faunistici regionali e autorizzano il prelievo con densità ben al di sotto e tassi di prelievo superiori a quanto Ispra ritiene sostenibile.
Che cosa ci insegna questa storia e l'attuale crisi ecologica del capriolo in Italia, si domanda Giuliani? Che la fauna stanziale ha un valore nazionale ed è illogico che venga gestita a livello regionale, quindi sub-nazionale. Di più, ci insegna che la scienza può essere scomoda ma va rispettata. In Italia - continua - è presente un'Istituzione scientifica nazionale di riferimento (Ispra) che andrebbe ascoltata. La prassi amministrativa legata alla riforma del titolo quinto della Costituzione - che conferisce ampie autonomie alle Regioni - è il vero vulnus: ha portato ogni Regione a dotarsi di una propria politica venatoria portando all'accelerazione della crisi demografica del capriolo. L'inadeguatezza dell'attuale assetto amministrativo sarebbe quindi la causa di tanti mali. Come tornare allora a parlare di sostenibilità? Qui Giuliani evoca il presente di molte aree che stanno cercando di gestire il capriolo in maniera responsabile: per conservare la credibilità di gestori dell'ambiente, i cacciatori dovranno accettare che la caccia a determinate specie possa essere inibita per determinati periodi. E conclude: «Non ne sono felice ma lo faccio volentieri».
Dagli Appennini alle Alpi
Il terzo intervento, di Ettore Zanon, ci sposta dagli Appennini alle Alpi. In particolare in Trentino, Regione annessa al Regno d'Italia nel 1919, dove la caccia è stata normata fino al 1964 secondo le leggi austriache. Gli ungulati sono una presenza costante nel tempo che ha permesso lo sviluppo di prassi gestionali consolidate, virtuose. Il sistema riservistico in vigore ha pregi e difetti, come ciascuno, ma è corroborato a monte da una solida cultura venatoria e gestionale e dalla presenza di serie storiche di dati. «È indegno di un paese civile», sottolinea Zanon, che l'Italia non sia in grado di fornire dati sulla presenza degli ungulati (l'ultimo aggiornamento delle banca dati degli ungulati risale al 2009) e sul numero dei cacciatori.
Questo, certamente, è un punto su cui lavorare per impostare la sostenibilità del futuro.
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