di Matteo Brogi
Caccia e ambiente: si possono ridurre a uno scontro destra-sinistra?
Visioni politiche differenti possono trovare una sintesi se si condivide che, al centro del confronto, c'è l'uomo con le sue necessità e le sue aspirazioni. Un'ipotesi che taglia fuori gli oltranzisti e predispone al confronto destra e sinistra, conservatori e progressisti
Con due articoli su Hunting Log - Carne finta e falsa sostenibilità e Chi salverà il pianeta: i cacciatori o i vegetariani? - ho già affrontato il tema del cibo sintetico e tornarci sopra mi sembra una ripetizione, di cui mi scuso anticipatamente. Il pretesto me lo dà Francesco Lollobrigida, ministro dell'Agricoltura e della sovranità alimentare, che a poche ore dal suo insediamento si è espresso sull'argomento con parole inequivocabili: «Quello che davvero ci allarma sono degenerazioni di cui nessuno parla, come la produzione di carne in laboratorio. Trovarsi nel piatto un prodotto così fa schifo. Noi di FdI avevamo firmato una petizione promossa da Coldiretti per contrastare questa aberrazione», ha dichiarato. Aggiungendo: «Non siamo certo per gli allevamenti massivi con migliaia di ettari di stalle in fila che sfruttano e stressano gli animali. Ma vogliamo tutelare i piccoli allevatori e un'economia di qualità che difenda anche il territorio. Parliamo di dissesto idrogeologico senza considerare che è causato dall'abbandono dei coltivatori agricoli che prima pulivano gli argini e il letto dei fiumi. Per evitare la desertificazione di quei territori dobbiamo incentivare i piccoli imprenditori».
Politica e spiritualità
Non ricordo parole simili dai ministri di area progressista che lo hanno preceduto e non posso fare a meno di interrogarmi, così come può interrogarsi l'elettore medio: si può ridurre il dibattito sull'ambiente e quanto gli ruota intorno all'eterno confronto tra destra e sinistra, tra una visione conservatrice e una progressista? A dirmi di no mi confortano le parole del cardinale Matteo Zuffi, presidente della Commissione episcopale italiana, prelato che difficilmente può essere assimilato al mondo conservatore. Qualche giorno prima dell'insediamento di Lollobrigida, al villaggio Coldiretti di Milano, ha lanciato un messaggio chiaro e forte: «C'è uno scandalo ancora: prima del cibo sintetico, c'è la fame, c'è gente che ancora oggi muore di fame. Garantiamo a tutti di poter vivere e di non morire di fame». Il discorso sul cibo sintetico potrebbe quindi dirsi concluso, relegato a un mondo oltranzista, che niente ha a che fare con le categorie della politica e della religione.
Confinare il dibattito a uno scontro di civiltà tra destra contro sinistra e mondo cattolico contro fronte "laico" è una semplificazione pericolosa, specie in un mondo polarizzato come quello attuale, che indulge nella divisioni tra alleati e avversari-nemici. Specie se dal tema della carne sintetica si passa alla questione generale della collocazione dell'uomo nel contesto naturale e, da lì, si passa alle grandi questioni del nostro tempo: l'alimentazione, certo, ma più in generale lo sfruttamento delle risorse ambientali - specie quelle rinnovabili che ci riguardano come cacciatori -, l'inquinamento, la conservazione.
La politica si è intestata alcune battaglie che portano anche la caccia sul terreno di una contesa fatta di lotte partigiane. Perché mai - e qui giungo alla semplificazione estrema del mio ragionamento - dovevamo aspettare un ministro di Fratelli d'Italia per sentire queste parole sui cibi sintetici e coltivare qualche speranza in una riforma strutturale e non necessariamente restrittiva dell'attività venatoria? Ricordo che Lollobrigida, prima delle elezioni, ha pubblicamente definito la caccia come «elemento di garanzia e tutela dell'intero ecosistema», «Un'attività nobile alla quale da sempre la mia famiglia è legata, che ha visto i miei avi, mio nonno e mio padre essere cacciatori veri. Io sono un pagatore di licenza, uno di quelli che contribuiscono [...] alla gestione del sistema».
Conservatori e progressisti
Insomma: la conservazione della natura è un concetto di sinistra o può trovare legittimamente spazio all'interno di una visione conservatrice? È un quesito che mi affascina. Una cosa so per certa: questa polarizzazione non fa il bene della conservazione e della caccia, divide e ci divide. È forse un tema filosofico che è difficile ridurre alle categorie della politica quotidiana, che ha la necessità di schematizzare il confronto, ma non può lasciarci indifferenti; fa riferimento piuttosto alle categorie del pensiero, che trattano la collocazione dell'uomo all'interno del mondo o, per chi crede, del Creato.
La tutela dell'ambiente è un tema universale, che appartiene a tutti, a prescindere dal credo politico. Il contrasto dell'inquinamento, la salvaguardia dell'ambiente, lo sfruttamento sostenibile delle risorse naturali dovrebbe essere nelle corde di chiunque. Certo, possono variare le risposte e se da una parte si arriva all'immobilismo proposto dai movimenti ambientalisti più radicali (un ambiente senza l'uomo), che contrastano lo sviluppo e mirano all'affermazione di un'ideologia globalista in cui non c'è spazio per l'identità, a "destra" non mancano estremismi che puntano allo sfruttamento indiscriminato delle risorse. Il fracking (o fratturazione idraulica, tecnica molto controversa per l'estrazione del petrolio), caro ai repubblicani americani, è un esempio in questo senso. Oggi è messo in secondo piano dalla ricerca dell'indipendenza energetica e non è più al centro del dibattito politico (anche i dem usa ne parlano poco) ma resta quantomeno discutibile.
Globalisti vs identitari
Il contrasto, semmai, è tra una visione globalista e una più comunitaria e identitaria, e in questo possono piacere o meno le parole di Lollobrigida. Ma è innegabile che il discorso non si circoscrive al solo ambiente naturale e si allarga a quello umano. Nell'ambiente includiamo le esigenze dell'uomo oppure no?
La Chiesa - nonostante che l'esposizione in Vaticano dell'immagine di Pachamama, la madre terra delle popolazioni amerindie, le sia valsa l'accusa di "panteismo ecologista" - ha le idee piuttosto chiare. Papa Paolo VI nel 1971 parlò di «una crisi, conseguenza drammatica dell'attività incontrollata dell'essere umano». Scriveva: «Attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione». Santo Giovanni Paolo II, nell'enciclica Redemptor Hominis del 1979, affermava che l'essere umano sembra «non percepire altri significati del suo ambiente naturale, ma solamente quelli che servono ai fini di un immediato uso e consumo».
Il papa emerito Benedetto XVI, in un discorso del 2007, rinnovava l'invito a «eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell'economia mondiale e a correggere i modelli di crescita che sembrano incapaci di garantire il rispetto dell'ambiente». Papa Francesco, infine, ha affrontato il tema in due encicliche: nel 2015 con la Laudato si', sulla cura della casa comune, e nel 2020 con la Fratelli tutti, dove afferma che i tentativi di giustificare l'assoluto dominio umano sulle altre specie «non sono una corretta interpretazione della Bibbia» e afferma altresì la necessità di contrastare «un modello di sviluppo centrato sui valori materiali, e non su quelli spirituali e culturali, e sull'appiattimento delle differenze culturali».
Insomma, se è possibile semplificare, a mio avviso il punto è tra chi pone l'uomo al centro e chi no, tra chi pensa alle future generazioni in termini di responsabilità e chi ha un approccio predatorio, tra chi ritiene che l'uomo abbia il diritto di sfruttare con responsabilità la natura e chi, invece, nello svolgersi delle attività umane vede un incidente in un disegno di perfezione astratta che, però, non avrebbe alcun valore se non fosse proprio l'uomo a darglielo. Il discorso è generale, riguarda l'ambiente così come la caccia.
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