di Matteo Brogi
Caccia a lunga distanza: diamoci un limite
Quali sono i parametri che influenzano l'efficacia dell'azione di caccia quando le distanze superano quelle convenzionali? È bene conoscerli per indirizzare al meglio il proprio comportamento
Quello della caccia a lunga distanza è un tema controverso, da sempre popolare e oggi ancora di più in virtù dei progressi tecnologici che hanno interessato le attrezzatura venatorie. Lo testimonia l'offerta commerciale che, mai come in questo caso, segue la tendenza più che anticiparla. Le fiere di settore (in particolare il recente Shot show) ne danno testimonianza: anche quest'anno sono stati presentati sistemi d'arma che possono essere definiti ibridi e si prestano tanto al tiro sportivo estremo quanto alla caccia. Gorilla precision, Hardy, Alterra, Seekins, Best of the West sono nomi quasi sconosciuti al di fuori dei confini dell'America del Nord, produttori che offrono carabine da caccia pensate per il tiro a lunga distanza. Più note sono le proposte - tra le altre, senza pretesa di esaustività - di Bergara, Christensen, Gunwerks mentre, in Italia, ho recentemente scritto della Cosmi Chilometro, una bolt action dal nome evocativo. Prodotti che rispondono in maniera egregia a quella che possiamo definire come l'etica della precisione.
Dall'etica della precisione alla responsabilità del cacciatore
Chi legge Hunting Log conosce la mia opinione. Sono molto critico nei confronti della deriva "sportiva" che ha preso la caccia, con chi si cimenta con tiri che portano al limite la balistica e le capacità del cacciatore. D'altronde il mercato aiuta: abbiamo carabine molto precise, eccellenti ottiche, telemetri e anemometri, torrette balistiche, calibri e munizioni pensate allo scopo, sistemi d'appoggio sofisticati, software e app che restituiscono in maniera realistica la parabola del proiettile. Ma restano alcuni limiti difficilmente colmabili. Anzitutto quelli soggettivi che portano il cacciatore a confrontarsi con le proprie capacità, lo stato di forma, l'appoggio che gli è dato dalla circostanza.
Hanno un'influenza anche le condizioni ambientali, che possono variare tra il punto di sparo e la posizione del selvatico e sono difficilmente valutabili. Quando si superano i 300 metri, gli influssi della deriva laterale imposta dal vento, le eventuali turbative date alla traiettoria dalla pioggia, la pressione atmosferica se non tenuta in conto nella compensazione della traiettoria hanno effetti deleteri sulla precisione e il piazzamento del colpo.
Limiti incolmabili
Alcuni limiti incolmabili ce li dà la balistica: anzitutto la velocità minima per ottenere il corretto affungamento (o frammentazione) della palla e trasferire energia sufficiente all'abbattimento del selvatico (ne ho scritto qui). Non va dimenticato un ulteriore aspetto che spesso viene trascurato: il tempo di volo del proiettile. Che deve portarci a considerare l'imprevedibilità del comportamento del selvatico tra il momento in cui la palla lascia la volata e quello in cui raggiunge il punto cui si è mirato.
Per esemplificare prendo un caso specifico, analizzato mediante il calcolatore balistico 4DOF di Hornady. La cartuccia in esame è l'allestimento Hornady Outfitter in .308 Winchester con palla CX da 165 grani (presenta un coefficiente balistico G1 pari a 0,440 e una velocità alla volata di 796 m/s). La tabella che segue dà indicazioni interessanti sull'energia residua, la velocità al momento dell'impatto e, appunto, il tempo di volo alla distanza di 300 metri e a distanze superiori:
Senza andare a scomodare la capacità del proiettile di lavorare correttamente a distanze elevate (si veda alla voce velocità) e di trasferire energia cinetica sufficiente a provocare un abbattimento pulito (si veda la colonna dedicata all'energia), è evidente che il tempo di volo si riflette in maniera drammatica sulla possibilità di piazzare il colpo esattamente nel punto in cui abbiamo mirato. Al netto di tutte le altre variabili, che non sono poche, a distanze che mi ostino a definire come non venatorie le probabilità di un ferimento crescono a dismisura e la stessa individuazione dell'Anschuss, qualora il selvatico si allontani, diventa aleatoria. Non può essere altrimenti nel caso, per esempio, che per raggiungere il bersaglio il proiettile impieghi oltre un secondo.
Diamoci un limite
Non voglio tirare di nuovo in ballo l'etica venatoria ma, se vogliamo che il nostro comportamento sia irreprensibile, dobbiamo fare i conti con queste considerazioni e non lasciare al caso l'efficacia della nostra azione.
Uno degli elementi più esaltanti della caccia è l'avvicinamento, arrivare a ridosso dell'animale, sfidare le sue capacità sensoriali, nettamente superiori alle nostre. Tutto il resto è tiro al bersaglio, che si può fare tranquillamente in poligono, su un bersaglio di carta.
Concludo da dove sono partito, dalla necessità del darsi un limite. Quello che io mi sono imposto è di 300 metri. Potrei trovarmi costretto a superarlo, per necessità, ma lo farei nel momento in cui mi sentissi sufficientemente sicuro di dominare tutte le innumerevoli variabili in gioco. Questo è il mio limite e non voglio insegnare niente a nessuno, semmai stimolare una riflessione. Ciascuno trovi il suo.
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