
di Diana & Wilde
Bracco italiano, il cane da beccaccini a caccia e in prova lavoro
Il bracco italiano a caccia e nelle prove specialistiche: intelligenza venatoria e cerca finalizzata al rendimento sono doti che lo contraddistinguono e gli permettono di svolgere un lavoro redditizio
di Claudio Cortesi*
«Per il bracco italiano si può con tranquillità affermare che è il più adatto per cacciare tale selvaggina, perché il suo complesso di prestazione è naturale e assai confacente. L'andatura che sviluppa il cane in cerca ben s'intende quando rispetta il crisma regolamentare e, in questo caso, il trotto al rallentatore nei terreni di classica pastura del beccaccino, indi la prudenza, il comportamento del pensatore, sono fattori che depongono a favore. Tutto questo in realtà è concetto di base. Se poi il modo più o meno efficace di trattare il selvatico presenta risultato variabile dipende più dall'individuo che non dalla razza stessa. Griziotti può essere testimone che fra tanti cani posseduti e dressati, non voglio dire le migliori, ma tante grandi soddisfazioni le ha avute dai bracchi italiani come, del resto, le ho pur io vissute».
Paolo Ciceri
«Se vi è una selvaggina in grado di mettere in evidenza le qualità precise del bracco italiano è proprio il beccaccino. Infatti, se in certi terreni molto ampi, semi-asciutti e anche asciutti, dove i beccaccini vanno frequentemente di riborsa e sono molto sparsi, può riuscire utile l'impiego dei cani inglesi, viceversa nei terreni paludosi e nelle marcite dove i beccaccini si trovano più numerosi e spesso aggruppati, il bracco italiano si trova nel suo elemento. La sua andatura di trotto, meno rumorosa e meno sciacquante del galoppo, la sua cerca più adatta a seguire la natura del terreno, fossi, argini e cumuli di paglia, le sue avventate a distanza, le sue caute guidate, permettono al bracco di svolgere un lavoro classico e redditizio e nello stesso tempo mantenendo la sua andatura caratteristica e rimanendo nella nota del concorso».
Giacomo Griziotti
Differenza tra caccia e prove
Prima di addentrarmi nello specifico campo della caccia e delle prove al beccaccino, resto ancora un attimo sulle considerazioni generali: “il miglior soggetto a caccia, viene destinato alle prove di lavoro”. Per anni questa è stato il concetto portante di tutta la questione. Ora spesso non è più così, per vari motivi:
- la caccia di oggi, escluse alcune categorie di nicchia, è una modesta parodia di ciò che era decenni fa;
- credo che, per motivi anagrafici, non siano più molti i cacciatori, i concorrenti e i giudici che hanno conosciuto la vera starna completamente selvatica. Pertanto se si escludono coloro che possono fare impegnativi viaggi venatori all'estero, la maggior parte di noi tutti caccia, partecipa a prove e giudica starne di allevamento con tutte le limitazioni del caso;
- siamo arrivati al paradosso che caccia e prove, sovente, non sono più attività complementari e sinergiche, anzi, talvolta diventano antagoniste. Sto ovviamente parlando delle zone di addestramento cani che sottraggono terreni ai cacciatori e alla gestione di alcuni selvatici che ai cinofili interessano non solo per finire in padella.
Le cacce specialistiche (tutte), e quella al beccaccino in quanto mi compete, risentono parzialmente della problematiche appena elencate per tre motivi:
- innanzi tutto perché si tratta di volatili migratori che giocoforza sono assolutamente selvatici, e questo sgombra già il campo da tanti dubbi e perplessità;
- colui che porta il cane alle prove specialistiche è sempre un attivo cacciatore e molti di questi si dedicano esclusivamente a questo scolopacide, in quanto la caccia a questo complesso volatile mal si presta ad un utilizzo venatorio che contempli anche la caccia a discutibili soggetti di voliera, tranne in casi sporadici. E qui la dicotomia caccia prove va fortemente scemando;
- la prova su beccaccini, come vale per le altre cacce specialistiche e come si evince anche dalla lettura del regolamento Enci, impone al cane e al conduttore, e di conseguenza al giudice, di applicare una nota che deve essere legata in modo indissolubile alla caccia cacciata specialistica e il soggetto che non dimostra queste attitudini per l'intera durata del turno non deve essere tenuto in considerazione. Credo che questa sia la chiave di volta per decifrare il problema: iI cane deve dimostrare di cercare il beccaccino e, estremizzo, non deve correre e fermare quelli che incontra sul suo geometrico percorso.
Le prove
Ma parliamo dei terreni: le prove, da regolamento, si esercitano ormai solo nelle risaie, essendo sparite le belle marcite, ricordo struggente dell’adolescenza di noi lombardi. A caccia, il territorio è più variegato: risaie sempre, ma anche stocchi di mais, prati allagati e, ove ce ne sono ancora, zone paludose. Questo per dire che a caccia emergono atteggiamenti e sfumature del cane che alle prove non sempre si palesano. Infatti, diverso sarà il processo di ragionamento mentale del soggetto a seconda che si trovi in un campo di mais, in palude o in una risaia.
A questo punto è interessantissimo per il cinofilo constatare i mutati atteggiamenti del cane in funzione dell'ambiente in cui si trova. A me (come presidente del Club e come esperto giudice) piacerebbe molto effettuare parte dei turni di prova anche in terreni diversi della risaia. Immagino che l'esperienza per il giudice sia molto più interessante e permetta di esprimere un giudizio a 360 gradi del cane. Ma mi rendo anche conto delle difficoltà organizzative che questo comporta.
Sono convinto che se il cane a caccia viene utilizzato in modo ortodosso, cioè mettendolo opportunamente sul vento, sparando solo ai beccaccini che, perlomeno, il cane ha avvertito e messo in volo, rendendolo così partecipe dell’azione, facendogli abboccare qualche selvatico, abituandolo a una conduzione senza eccedere col fischietto e con altri richiami rumorosi, sollecitandolo in modo benevolo ma deciso a non indugiare su emanazioni a terra e comunque improprie, aiutandolo a risolvere le ferme senza esito che sono abbastanza frequenti in questa caccia, il tutto abbinato a una tipicità che rispecchi i canoni previsti dallo standard, questo cane è pronto a partecipare alle prove, anche se condotto da un neofita che si affaccia per la prima volta a questo mondo. Questo cacciatore può stare tranquillo, perché troverà giudici, consci della difficoltà della nota, che valuteranno il cane con pazienza, rispetto e interesse e saranno prodighi di consigli.
Io personalmente non smetto mai di invogliare i semplici cacciatori di beccaccini a presentare i propri cani alle prove perché l'intento del Club è quello di fidelizzare il cacciatore e testare lo stato qualitativo delle varie razze nei confronti della prova specialistica.
La ferma senza esito
La ferma senza esito è un fenomeno da prendere con la dovuta indulgenza con questo selvatico leggerissimo e che vive in ambienti intrisi di ogni tipo di emanazioni fuorvianti. Ovviamente si dovrà cercare di ridurre al minimo questo atteggiamento, sia nella frequenza che nell'intensità e nella persistenza. In alcuni soggetti il fenomeno si verifica ancor prima della ferma, col cane talvolta addirittura ancora al guinzaglio o appena mette le zampe nell'acqua o ne sente l'olezzo. La ferma senza esito è quasi sempre figlia della paura di sbagliare del cane e nasce fuori dal campo di prova causa eccesso di interventi coercitivi. Ricordo che si parla di sospetto e non di cautela. Atteggiamenti in apparenza simili ma opposti. Il primo è un difetto, la seconda un pregio.
Velocità, velocità, velocità
Nell'esercizio della caccia la venaticità, l'intelligenza venatoria e la cerca finalizzata al rendimento, sembrerebbe pleonastico qui affermarlo, sono doti irrinunciabili. Le medesime doti debbono assolutamente manifestarsi anche nella prova di lavoro. Teniamo ovviamente in dovuta considerazione che il turno di prova dura una manciata di minuti mentre la cacciata anche alcune ore, il che impone nel turno una prestazione senza pause, distrazioni o rilassamenti, e in questo breve lasso di tempo il cane deve sempre dimostrare di andare a caccia e cercare il beccaccino.
Dico questo perché mi sembra di aver constatato in questi ultimi anni nella nostra nota la ricerca di aperture e cerche troppo estese miranti a impressionare le giurie e i presenti a bordo campo sulle qualità trialleristiche dei nostri cani, a discapito talvolta dell'aderenza a una nota che deve essere sempre finalizzata alla caccia al beccaccino e nel pieno rispetto delle doti canoniche richieste (interrogazioni e prese di vento, prudenza, filata e guidata spontanee e naturali, discernimento, cambi di passo, collegamento e collaborazione col conduttore anche a grande distanza) e questo vale per tutte le razze. Caratteristiche che rischiano di venire meno in presenza di prestazioni atletiche estreme che sono appannaggio di altre note.
Ben venga l'uso di sangue trialler nei nostri cani, specie negli stalloni, ma questo non deve servire solo per dare maggiore velocità. Questo sangue deve essere sempre mitigato usando l'irrinunciabile patrimonio genetico del beccaccinista, altrimenti i nostri cani perderanno tutta le loro peculiarità che sarà poi difficilissimo ricostruire. Noi tutti abbiamo l’enorme responsabilità di tramandare nel tempo le caratteristiche genetiche del cane beccaccinista. Ripeto ancora una volta che nell‘esercizio della caccia la venaticità, l'intelligenza venatoria e la cerca finalizzata al rendimento sono doti irrinunciabili. Le medesime doti debbono assolutamente manifestarsi anche nel turno della prova.
Non facciamoci abbagliare da prestazioni esasperate perché chi conosce questo selvatico sa che non lo si caccia in questo modo. Viva l'avidità, le doti atletiche e le aperture coraggiose, ma il cane deve sempre evidenziare l'appartenenza alla propria nota, dimostrare l'intelligenza venatoria ed essere legato con un filo (anche lunghissimo) al conduttore, munito di un ipotetico fucile.
* Presidente del Club del beccaccino
Articolo concesso da Diana & Wilde / Edizioni Lucibello, aprile 2025
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