di Matteo Brogi
Biodiversità, attenzione agli animali domestici
Riemergo dalla faticosa lettura di Siamo l'aria che respiriamo di Arne Naess. Il volume, composto da una raccolta di saggi del filosofo e alpinista norvegese vissuto tra il 1912 e il 2009, costituisce una sorta di bibbia dell'ecologia profonda teorizzata dall'autore nel 1973. A differenza della cosiddetta ecologia superficiale, quella profonda ha una prospettiva etica biocentrica in cui tutti gli organismi viventi hanno uguale valore e si differenzia quindi da tutti gli altri approcci ambientalisti più miti che conservano una visione pur moderatamente antropocentrica. Naess, con i suoi saggi, si pone le domande filosofiche fondamentali sul ruolo della vita umana come parte di un tutto - l'ecosfera - e dà delle risposte che attaccano la visione utilitaristica che l'uomo ha dell'ambiente per equiparare il valore delle esigenze umane a quello delle altre specie, dei sistemi e dei processi naturali.
Ecologia profonda, alcuni spunti
Tra i valori e gli stili di vita proposti dall'autore ce ne sono di condivisibili quali l'anticonsumismo (punto 3) e un invito alla partecipazione alla produzione primaria su piccola scala (agricoltura, silvicoltura e pesca al punto 14, peccato trascuri la caccia) e altri - come l'esaltazione delle varie forme di vegetarismo - che trovo difficili... da digerire. Il pensiero di Naess non è fanatico e apprezzabile dove invita a "una vita semplice di mezzi ma ricca di fini" ma trascende in una visione metafisica che trovo lontana: sulle premesse posso anche concordare ma, sulle conclusioni, il solco che mi divide dall'ecologia profonda è incolmabile. Devo però riconoscere all'autore una coerenza rara: trascorse infatti buona parte della sua vita nella baita Tvergastein che si costruì sulle pendici del monte Hallingskarvet, appena sopra al limite arboreo, in Norvegia. Luogo che scelse, sentì proprio e verso il quale provò un senso di appartenenza. Al di là di questi aspetti che hanno arricchito il confronto con i suoi scritti, sapevo che sarebbe stata una lettura faticosa e tale è stata.
Animali domestici e biodiversità
Tra i valori di sostenibilità evidenziati da Naess ce n'é uno che trovo particolarmente attuale. Al punto 20 della sua lista di stili di vita sostenibili scrive testualmente che "in caso di conflitti di interesse tra cani, gatti o altri animali domestici e specie selvatiche" è necessario "privilegiare la protezione di queste ultime".
Una ricerca di Alyson Stobo-Wilson e altri studiosi del College of Engineering and Environment presso la Charles Darwin University di Darwin (Australia), pubblicata il 15 marzo 2022 su Diversity and distributions (Counting the bodies: Estimating the numbers and spatial variation of Australian reptiles, birds and mammals killed by two invasive mesopredators), sottolinea che gli animali introdotti in Australia dalla colonizzazione nel 1788 sono stati i principali responsabili della perdita di biodiversità del continente: gatti e volpi uccidono sette milioni di animali al giorno, per un totale di 2,6 miliardi l'anno: 1,4 miliardi di mammiferi, 697 milioni di rettili e 510 milioni di uccelli. Se lasciati liberi, evidenzia ancora lo studio, i soli gatti (la stima parla di 3,8 milioni di esemplari domestici, cifra che sale a 6,6 milioni includendo i selvatici) uccidono 252 milioni di mammiferi ogni anno. Questa tendenza ha fatto sì che, dopo poco meno di due secoli e mezzo, circa 100 specie uniche d'Australia sono state eradicate.
Un precedente studio, riferito agli Stati uniti e pubblicato su Nature nel 2013, conferma la gravità del problema.
Si tratta di numeri impressionanti che permettono di rapportare il reale impatto della caccia rispetto a una gestione poco attenta dei felini. Lo studio Bird hunting in Europe: an analysis of bag figures and the potential impact on the conservation of threatened species riferito a 24 stati membri della UE, pubblicato nel 2019 e condotto da studiosi del Committee Against Bird Slaughter che difficilmente può essere accusato di accondiscendenza verso il mondo venatorio, calcola in 52 milioni gli uccelli abbattuti annualmente nel corso della stagione venatoria. Circa un decimo di quelli predati in Australia solo da gatti e volpi. Non oso immaginare a quanto possa ammontare la predazione nel continente europeo, dove la maggior antropizzazione e il diffuso possesso di pet rende il tema più scottante: la popolazione di gatti domestici è stimata infatti in almeno 70 milioni di esemplari (dati 2017).
Tra passato e futuro
Facendo un salto nel passato, il Regio decreto 1016/39 - che certamente non porto qui ad esempio di una corretta gestione della fauna - equiparava nell'articolo 5 il gatto domestico vagante oltre 300 metri dall'abitato ai cosiddetti nocivi, categoria che includeva peraltro il lupo, la volpe, la faina, la puzzola, la lontra, il gatto selvatico. Per i nocivi - che adesso vengono inclusi tra gli antagonisti e, nel caso del lupo, tra le specie particolarmente protette - erano previste l'uccisione e la cattura con lacci, tagliole, trappole e addirittura bocconi avvelenati (articolo 25)... Un approccio che ha prodotto più danni di quanti ha cercato di prevenirne.
Tra l'ossessione odierna per gli animali da compagnia e l'assoluto scollamento tra un generico amore per l'ambiente e condotte sbagliate come l'eccessiva libertà troppo spesso lasciata al micio di casa, cui viene permesso di vagare per giardini e campagne, ci vorrebbe un approccio responsabile e consapevole anche da parte dei proprietari. Non dico le gattare - non oso sperare tanto - ma vorrei che almeno gli animalisti da salotto leggessero Naess per dare uno spessore e una giustificazione ideale e filosofica al proprio pensiero. E, così, fare finalmente qualcosa di utile per l'ambiente e la biodiversità che dicono di avere tanto a cuore.
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