di Matteo Brogi
Balistica: una cartuccia non vale l'altra
L'adeguatezza dell'attrezzatura e del sistema-arma è fondamentale per un prelievo responsabile. Ma non basta. Il corretto azzeramento e la consapevolezza della traiettoria del proiettile sono due elementi che spesso non vengono trattati con la giusta attenzione
Parto da un assunto: ogni cacciatore dovrebbe conoscere alla perfezione il sistema-arma che porta abitualmente con sé a caccia. Dovrebbe conoscerne i limiti o, meglio, le caratteristiche. Perché a prescindere dal sistema utilizzato (bolt action o straight-pull, express o kiplauf), dal calibro e dal tipo di cartuccia impiegata (leggera o pesante, tradizionale o monolitica) e dal cannocchiale montato, ogni sistema ha delle caratteristiche che devono essere governate perché portino a finalizzare l'uscita venatoria. La realtà però è spesso differente.
Molti cacciatori, specialmente se cacciano a distanze ridotte come nella caccia al cinghiale, danno scarso rilievo alla scelta della cartuccia e della palla. Facendosi spesso guidare, nell'acquisto, solo da motivazioni economiche.
Altri, invece, si affidano in maniera fideistica ai dati forniti dal produttore e, una volta tarata l'arma, prendono per buoni quelli salvo poi constatare che non sempre il proiettile impatta nel punto desiderato nonostante fantasmagoriche torrette balistiche o sistemi computerizzati in grado di interfacciare numerosi valori alla distanza dell'animale.
Entrambi questi approcci sono purtroppo forieri di errori che molti pretendono di imputare all'attrezzatura o alle condizioni ambientali mentre sono andrebbero riferiti al cacciatore, che non ha adempiuto fino in fondo al suo obbligo di responsabilità nei confronti dell'attività che pratica.
Questa e quella pari non sono
Cartucce differenti hanno spesso, quasi sempre, rendimenti differenti. Porto due esempi. Nei test compiuti in questi anni ho spesso utilizzato una carabina Merkel Helix, arrivando a costruire un database piuttosto vasto di dati balistici. È un'arma che spara bene ma che si è rivelata molto sensibile al variare della cartuccia utilizzata. In grado, insomma, di produrre rosate nel terzo di Moa con una data palla così come rosate da due Moa, per me inaccettabili, con munizionamento dello stesso produttore che però monti un proiettile differente. Questa considerazione porta a un primo punto fermo: la scelta della palla è un elemento discriminante quando si cerca di ottenere il meglio – in termini di precisione – dai propri strumenti.
Capita inoltre nella pratica, eccome se capita, di ottenere risultati incongruenti con lotti differenti dello stesso caricamento. Può succedere che il produttore del munizionamento decida di sostituire la polvere o l'innesco della sua linea, oppure che muti nel tempo la tecnica di produzione del proiettile. Uno qualsiasi di questi fattori ha un'influenza sulla traiettoria che, appunto, può variare al variare del lotto. Figuriamoci se, invece di utilizzare un lotto differente della stessa cartuccia, utilizziamo addirittura cartucce differenti, magari confortati dal fatto che la massa del proiettile è la medesima.
I due errori più comuni
La traiettoria del proiettile è influenzata da due parametri significativi, oltre alla massa: velocità e coefficiente balistico. Al loro variare, cambia la curva balistica e, con essa, il punto d'impatto. Appurato questo aspetto è necessario puntualizzare che chi si affida in maniera religiosa ai dati balistici dichiarati dal produttore commette due errori. Il primo è di metodo: le norme CIP prevedono infatti che le performance della cartuccia siano calcolate sparando da una canna manometrica di 600 mm nei calibri standard e di 650 mm in quelli magnum. Se pure è possibile che l'arma impiegata rispetti questo valore, è molto frequente che abbia una canna di lunghezza differente. Ed è dimostrato che al variare della lunghezza della canna varia anche la velocità d'uscita del proiettile.
Il secondo errore è dato dalla performance della canna stessa. L'esperienza dimostra che quasi mai la velocità reale alla volata coincide con quella dichiarata, anche nel caso che la lunghezza della canna sia coerente con le norme CIP. Generalmente la velocità reale è inferiore a quella teorica, e non di poco. Di più: le performance della canna possono differire anche all'interno di uno stesso modello e variano al variare dello stato d'usura della rigatura. Inevitabilmente, velocità che non coincidono con quella reale producono una curva balistica diversa da quella prevista dal produttore.
Non è solo teoria
Nella mia esperienza di tester ho verificato in poligono dati coerenti con quanto dichiarato dal produttore del munizionamento così come discrepanze significative. Presento a conferma di quanto scritto due casi su tutti: nel corso degli ultimi anni ho provato una carabina Sako CarbonWolf in calibro .308 Winchester che, con munizionamento Sako RaceHead con palla Match da 168 grani, ha prodotto una V zero media di 807 m/s contro gli 810 m/s dichiarati dal produttore. All'altro estremo, ho testato un'ottima Ruger M77 Mark II Hawkeye in .243 Winchester, capace anch'essa di ottime rosate, che con munizionamento Hornady Whitetail con palla InterLock da 100 grani ha prodotto una differenza di 86 m/s tra la V zero dichiarata dal produttore (902 m/s) e quella reale (816 m/s). I due esempi trattano volutamente di armi e munizionamento di ottima qualità a testimoniare che le differenze non sono dovute a scelte di ripiego.
Queste variazioni producono importanti modifiche alla traiettoria dal proiettile. Un sistema che produca risultati incoerenti, ma che venga trattato come se ne producesse di coerenti, produce inevitabili delusioni. Lo dimostra la tabella, che evidenzia come, nel caso in esame, ci sia una variazione del punto d'impatto superiore a un Moa, significativa a 200 metri e ingestibile già a 250 metri dove, con un errore di 6,5 centimetri, il rischio di un ferimento è consistente.
Gli errori ambientali
A complicare la questione ci sono le condizioni ambientali, che non hanno un'influenza significativa ad altitudini tipiche della caccia appenninica, ma sono influenti se si caccia sulle Alpi o in zone montagnose esotiche, come l'Asia. Ebbene, se queste variazioni non sono particolarmente impattanti fino a distanze "etiche", diventano problematiche oltre i 300 metri. È ben lontana da me l'intenzione di giustificare tiri estremi, che ritengo più consoni al tiro sportivo su un bersaglio di carta, ma chi dovesse confrontarsi con questo tema è bene che sappia che a 4.000 metri di altitudine, con arma tarata al livello del mare, il punto d'impatto può differire di oltre 10 centimetri. Anche in questo caso, una differenziale tale da far mancare l'animale. Nel migliore dei casi.
Conclusioni
Termino questo articolo con alcune riflessioni. Non è mio scopo quello di parlare della qualità delle cartucce o della loro capacità di fermare il selvatico quanto, piuttosto, dell'oggettiva precisione a distanze differenti da quella d'azzeramento.
È necessario ottimizzare il proprio sistema-arma perché dia il meglio di sé nelle condizioni d'impiego previste dal tipo di caccia praticato. Il procedimento non è complesso ma richiede un minimo d'attenzione e, soprattutto, di pratica in poligono per costruirsi una tabella balistica reale. Il calcolo della velocità – almeno della V zero, con un buon cronografo – è indispensabile per predisporre un sistema che minimizzi l'errore. Soltanto seguendo una procedura attenta e rigorosa si eliminano gli elementi oggettivi d'errore con il pregio, tra l'altro, di cancellare ogni forma di incertezza psicologica (e, con essa, di alibi) che può limitare le capacità del tiratore.
Va inoltre sottolineato che scostamenti significativi rispetto ai dati dichiarati producono effetti anche nell'energia cinetica residua del proiettile. Una variabile che è sempre opportuno tenere in considerazione quando si ingaggi un selvatico e non un bersaglio di carta.
Questo articolo trae spunto dal mio seminario a Riva 2019, successivamente ripreso da un articolo pubblicato su Caccia Magazine di febbraio 2020.
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