La semplice designazione di più aree come protette non è sinonimo di risultati migliori per la biodiversità
La semplice designazione di più aree come protette non è sinonimo di risultati migliori per la biodiversità - © U.S. Fish & Wildlife Service
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di Redazione

La biodiversità diminuisce più rapidamente nelle aree protette

È quanto dimostra una ricerca condotta dai ricercatori del Natural History Museum di Londra e rilanciata dal Guardian

Istituire un’area protetta non è garanzia di conservazione della biodiversità in termini assoluti. Questo è quanto evidenzia uno studio redatto dai ricercatori del Natural History Museum di Londra e rilanciato da un articolo del quotidiano britannico The Guardian. Secondo gli autori i dati elaborati devono fungere da "campanello d'allarme" per i leader globali che discutono le strategie per fermare la perdita di biodiversità e che sempre più spesso elaborano misure che si concentrano sull’incremento delle aree protette.

La semplice designazione di più aree come protette "non si tradurrà automaticamente in risultati migliori per la biodiversità” affermano gli studiosi. Secondo l'analisi del Natural History Museum, infatti, quasi un quarto degli ambienti più ricchi di biodiversità a livello globale si trova all'interno di aree protette, ma la qualità di queste aree sta diminuendo più rapidamente rispetto all'esterno delle stesse.

Per arrivare a questa conclusione, i ricercatori hanno elaborato ed esaminato un indice di integrità della biodiversità, che valuta la salute della biodiversità in percentuale. Lo studio ha rilevato che l'indice è diminuito mediamente di 1,88 punti percentuali a livello globale tra il 2000 e il 2020. Successivamente si sono concentrati nello studiare le aree critiche per la biodiversità, il 22% delle quali è inserito in un’area protetta. Lo studio ha rilevato che all'interno di quelle aree critiche che non erano protette, la biodiversità è diminuita in media di 1,9 punti percentuali nei due decenni oggetto di studio, mentre all'interno di quelle protette la diminuzione è stata di 2,1 punti percentuali.

Gli autori dello studio hanno indicato anche i possibili motivi di questa tendenza. Tra questi, il fatto che molte aree protette non sono progettate per preservare l'intero ecosistema, ma piuttosto alcune specie di interesse, il che significa che la totale "integrità della biodiversità" non viene considerata una priorità. Emma Woods, direttrice delle politiche presso il Natural History Museum, ha affermato: «Dobbiamo urgentemente andare oltre l'attuale approccio di designare semplicemente più aree protette. La nostra analisi rafforza la visione secondo cui questo non si tradurrà automaticamente in risultati migliori per la biodiversità e gli ecosistemi».

A livello nazionale sul tema è intervenuto anche Spartaco Gippoliti, che ad agosto avevamo avuto l’onore di intervistare, e che sulle sue pagine social ha commentato: «È altamente consolatorio che pur con i loro problemi, vi siano ancora musei in Europa che non si limitano a fare conferenze invitando personaggi televisivi ma fanno buona ricerca. Mettono così in luce gli errori madornali fatti da una politica ambientale che ha scelto per motivi populisti e di convenienza un'unica strategia (aree protette) e come indicatori poche specie (il lupo, l'elefante africano -di savana-, le "balene"). È di questi musei che abbiamo disperatamente bisogno. Quelli che decidono di fare l'altoparlante di progetti 'politically correct' ma senza basi 'scientifiche', cioè falsificabili, non svolgono nessun ruolo positivo per il futuro del pianeta».

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