di Redazione
Gli anticaccia insistono coi referendum, come un disco rotto
La perseveranza e l'ostinazione sono spesso dipinte come doti positive, ma da decenni gli anticaccia continuano a cavalcare con scarso successo lo strumento referendario senza capire che evidentemente è tutto tempo perso
L'attivazione della nuova piattaforma del Ministero della Giustizia con il conseguente spostamento su di essa della raccolta delle firme per i referendum proposti dalle solite compagini anticaccia ha riacceso i riflettori sull'ennesimo tentativo, o forse è meglio parlarne al plurale, di ostacolare l'attività venatoria nel nostro Paese. A questo giro i quesiti che devono raccogliere il placet di almeno mezzo milione di firme per sperare di essere ammessi al voto sono due. Il primo riguarda l'abolizione della norma che espressamente sottrae la caccia dall'applicazione delle disposizioni penali in materia di delitti contro il sentimento per gli animali, il secondo mira invece ad abolire l'articolo 842 del Codice Civile, quello che permette ai cacciatori di accedere ai fondi altrui durante l'esercizio venatorio.
Potremmo star qui ad approfondire le logiche giuridiche proprie del referendum abrogativo o ad analizzare i contenuti delle due proposte, ma, scommettendo sull'esito delle iniziative animaliste, riteniamo di aver dedicato a questi argomenti ben più dello spazio che meritavano. Vogliamo invece riflettere sulla strategia adottata dai detrattori dell'attività venatoria. Negli ultimi anni, pur avendo, per deformazione professionale, una certa abitudine a tenere a mente fatti, cifre e dati, abbiamo perso il conto dei tentativi, tutti falliti, di ostacolare la caccia tramite un simile strumento. Sicuramente sui numerosi fallimenti pesano anche i vizi della scarsa partecipazione alla vita democratica propri della società odierna, ma è innegabile che la principale motivazione sia da ricercare altrove. Agli italiani non importa vietare la caccia! Poco interessa in questa sede se sia perché favorevoli o in altre faccende affaccendati. Questo semplice concetto evidentemente sfugge a chi, accecato dall'ideologia, continua a riproporre le stesse cose, suonando come un disco rotto.
Siamo anche convinti del fatto che, a differenza di altri momenti storici, quello attuale sia quello peggiore possibile per provare nuovamente ad "abrogare" la caccia. Se in passato infatti, l'eventuale successo di una simile iniziativa avrebbe avuto un impattato relativamente scarso sul sistema Paese, oggi, in tempi di Peste suina africana e altre problematiche di natura sanitaria, danni all'agricoltura ed "emergenza fauna selvatica", la caccia in senso lato assume un ruolo del quale difficilmente si potrebbe fare a meno. Nella pressoché irrealistica ipotesi di una vittoria anticaccia, il Legislatore correrebbe ai ripari in breve tempo rinormando la materia o spostando buona parte delle pratiche venatorie sotto il cappello giuridico normativo del controllo faunistico.
Possiamo quindi andare in vacanza tranquilli senza badare al disco rotto che suona sempre la stessa (orrenda) musica...
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